Sabato 6 ottobre in Piazza di Porta San Paolo a Roma si sono riuniti centianaia di lavoratori del settore culturale si sono ritrovati insieme in piazza per chiedere più diritti, meno precariato. La manifestazione per la cultura e il lavoro – come è stata rinominato – è stata la prima di questo tipo e ha visto uniti nello stesso corteo lavoratori sì dei beni culturali, ma di diverso tipo: studenti, archeologi, attori, cantanti lirici, archivisti, bibliotecari.
Mentre fra le persone sventolavano bandiere di diverse sigle (anche qui: Potere al Popolo, USB, CGIL, Unione degli Studenti, ANPI etc) e la pioggia non accennava a smettere, i manifestanti hanno iniziato la loro marcia, dirigendosi verso piazza Mastai. Ovunque si possono sentire cori del tipo “Di cultura si vive, di precariato si muore” o striscioni che reclamano più diritti per i lavoratori del settore, sempre più spesso precari, volontari, senza tutele.
Perché una manifestazione per la cultura e il lavoro?
Forse non tutti sanno, come spiegano i manifestanti, che il settore culturale in Italia non è affatto in crisi. Come ci tengono a specificare nel loro appello le sigle e le associazioni riunite sotto la Manifestazione per la cultura e il lavoro, «il settore culturale muove 250 miliardi, il 17% del PIL, in controtendenza rispetto a molti altri».
E allora perché sentiamo sempre più parlare di cinema che chiudono, musei con cronica carenza di personale, studenti freschi di laurea costretti a stage o tirocini sottopagati (se non addirittura non pagati)?
La risposta è semplice: perché lo Stato non si prende cura di questo settore, non lo protegge. E gli «investimenti e occupati nel settore sono nettamente al di sotto della media europea», dicono.
La crisi del settore è dovuta, quindi, non al settore in sé, ci tengono a ribadire i manifestanti, ma allo Stato che non attua politiche favorevoli. Pochi investimenti, abbattimento del costo del lavoro, esternalizzazioni, fondazioni private che si occupano di musei o teatri che invece dovrebbero essere pubblici. Soldi che, di conseguenza, vanno a finire nelle mani di qualcuno e non del Paese.
Le richieste della manifestazione per la cultura e il lavoro
La prima e più importante richiesta è quella di aumentare gli investimenti pubblici nel settore culturale. «Ogni euro investito in Cultura ne produce 1,8 in altri settori», come può non essere conveniente per lo Stato?
Ma ci sono anche tutte le richieste delle singole categorie, come ad esempio aumentare i fondi per lo spettacolo, promuovere un sistema nazionale di abilitazione delle guide turistiche e abrogare l’articolo 24 legge 160/2016 sul declassamento delle fondazioni lirico-sinfoniche.
Per porre fine al precariato si chiede di promulgare una legge che regolamenti il volontariato culturale, quello che oggi è invece uno sfruttamento lavorativo camuffato da volontariato, e di rivedere il sistema delle esternalizzazioni; far rispettare i contratti nazionali esistenti; promuovere l’assunzione di 3500 lavoratori nel MiBACT entro il 2020.
Tutto questo è importante non solo per i lavoratori stessi, ma per il Paese. Perché un paese senza cultura è un paese a rischio: fascismo, intolleranza e paura si infiltrano sempre di più nella società attraverso luoghi comuni, stereotipi, razzismo diffuso. La cultura – quella buona – serve a contrastare tutto questo.
È allora un fattore di vitale importanza per l’Italia del futuro. Un elemento su cui puntare per rinascere. Tutto accade nello stesso giorno della manifestazione per Mimmo Lucano a Riace, perché in fondo si combatte per una lotta che è la stessa per tutti noi.
Elisabetta Elia