Nemmeno la Germania è immune all’ondata populista che avanza in Europa: da Nord a Sud, il malcontento popolare innerva i successi dei movimenti xenofobi anti-migranti, che guadagnano consensi sulla débâcle dei partiti europeisti tradizionali e sulla propaganda islamofoba.
Le elezioni regionali tedesche in Meclemburgo-Pomerania confermano questo inquietante clima politico e lasciano l’amaro in bocca alla cancelliera Angela Merkel, che dal G20 in Cina si dichiara «molto scontenta» dell’esito del voto di ieri, che trascina il suo CDU (Unione Cristiano-democratica della Germania) dietro la destra populista di Alternativa per la Germania (AfD), scivolando al terzo posto. Tengono botta i social-democratici, che si confermano il primo partito, perdendo però il 5%. Sconfitta, invece, per i neonazisti della NPD, che escono definitivamente anche dall’ultimo parlamento regionale in cui ancora sedevano.
Sotto accusa la politica delle “porte aperte” e dell’accoglienza, che la premier tedesca ha inaugurato a settembre del 2015, permettendo a migliaia di migranti in fuga da guerre e persecuzioni di valicare le frontiere e trovare rifugio in terra tedesca. A dire il vero, la Pomerania è la land con meno presenza di profughi (23.000 in tutto su una popolazione di circa 1.596.000 abitanti), ma per Frauke Petry, leader dell’AfD, non ci sono dubbi: «La Cancelliera si rovescia da sola» con «la sua catastrofica politica sull’immigrazione».
Dal 7% ottenuto alle elezioni europee del 2014, l’Alternative für Deutschland è riuscito ad aumentare i propri consensi, cavalcando i sentimenti anti-euro e affiancandoli a toni xenofobi e nazionalisti dopo il sodalizio con il movimento anti-islamizzazione Pegida, ma anche raccogliendo proseliti tra i delusi dalle recenti politiche sui temi della sicurezza, del lavoro e della famiglia. Al di là della questione immigrazione, infatti, questo voto comunica disillusione e disaffezione dei cittadini nei confronti dei partiti tradizionali, che sembrano ormai incapaci di affascinare e trascinare la collettività.
Mentre Matteo Salvini e Marine Le Pen esultavano per lo «schiaffone alla Merkel» e il trionfo del loro alleato europeo, a Calais (Francia), migliaia di manifestanti tra camionisti, lavoratori del porto e contadini locali sono scesi in piazza per chiedere la chiusura del campo profughi a nord della cittadina. Le condizioni di vita nei container e nei prefabbricati della “giungla” – così soprannominato il campo – sono drammatiche e continuamente dipendenti dagli aiuti umanitari. Il sovraffollamento – ad agosto raggiunto il record di 6.901 migranti – e l’insufficienza di servizi di primaria necessità si uniscono alla disperazione e alla rabbia di coloro che cercano inutilmente di valicare la frontiera con la Gran Bretagna, spesso nascondendosi sotto i camion.
I profughi, che provengono per lo più da Medioriente, Afghanistan e Africa, a seguito dell’irrigidimento dei controlli, sono tutti finiti a Calais perché «ormai è il posto dove va chi vuole fare domanda di asilo politico». Ma la situazione sta rapidamente peggiorando: oggi le tende affollano ogni centimetro quadrato di terreno e nulla può essere più costruito. «Ci sono più persone di un anno fa, ma su un terzo di superficie», spiega Maya Konforti, dell’associazione Auberge des Migrants.
Secondo statistiche ufficiali, in media un migrante ogni sei secondi tenta di scavalcare la recinzione che separa il campo dal porto di Calais e dà accesso alla Manica, unica via verso il Regno Unito. Recinzione che ben presto, come annunciato nella serata di martedì dal governo inglese, si trasformerà in un muro di cemento lungo oltre un chilometro.
Dopo Idomeni, la “giungla” di Calais è solo l’ultimo prodotto di un’Europa incapace di dare una risposta istituzionale e, soprattutto, dignitosa alla crisi dei migranti. L’impasse causato dall’assenza di un piano d’azione comune tra tutti i paesi europei sembra insuperabile: la tensione non è solo interna ai singoli Stati, dove i partiti tradizionali inciampano nella retorica filantropica senza attuare politiche efficienti per fronteggiare l’accoglienza – regalando consensi a gruppi populisti che cercano risposte semplici a problemi complessi –, è lo stesso Vecchio Continente ad essere frantumato dai nazionalismi e dalla fobia di perdere la propria identità.
Così, mentre guerre e persecuzioni infuocano l’emergenza umanitaria fuori dai confini dell’Europa, l’estrema destra conquista passo dopo passo le simpatie dell’opinione pubblica europea, sempre più favorevole a proteggersi con muri e gendarmi.
Rosa Uliassi