Home Esteri Europa Sei miliardi di euro per deportare i rifugiati in Turchia

Sei miliardi di euro per deportare i rifugiati in Turchia

Il 7 marzo 2016, all’alba dell’accordo tra UE e Turchia per la gestione dei flussi migratori, il primo Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans ha dichiarato «Se vogliamo rispettare i principi di dignità, umanità e solidarietà non possiamo accettare una situazione in cui, per raggiungere l’Europa, le persone rischiano la vita affidandosi a trafficanti che sfruttano cinicamente la sofferenza umana. Dobbiamo far cessare definitivamente questo fenomeno. Le proposte discusse oggi dai leader dell’UE edella Turchia, relative al rimpatrio di tutti i nuovi migranti irregolari e richiedenti asilo che arrivano in Grecia dalla Turchia come misura temporanea e straordinaria da attivare il prima possibile, parallelamente al reinsediamento nell’UE dei Siriani provenienti dalla Turchia, possono smantellare una volta per tutte il modello di attività dei trafficanti. Questo però può avvenire solo in conformità del quadro giuridico internazionale e dell’UE. Ciò significa che ogni domanda di protezione internazionale deve essere valutata singolarmente, prevedendo un diritto di ricorso e garantendo che non vi sarà alcun respingimento», eppure a veder bene quello che sta accadendo in Europa i respingimenti ci sono, mentre la dignità, l’umanità e la solidarietà sembrano un lontano ricordo  tre valori di carta, per niente sostanziali in questa Unione.

L’accordo con la Turchia siglato il 18 marzo 2016 ha come obiettivo ufficiale quello di «interrompere l’immigrazione illegale dalla Turchia all’UE» e in seguito, una volta placate le masse di migranti che, passando prima dalla Siria e poi dalla Turchia, approdano nel territorio delll’Unione Europea, si potrà forse attivare uno “Schema di Ammissione Volontario Umanitario”, il cui futuro sembra incerto viste le pressioni in senso contrario da parte di stati membri come l’Austria e l’Ungheria.

Come si dovrebbero ridurre i numeri di questo fenomeno secondo i vertici europei?
Una volta rafforzata la Fortezza Europa con la chiusura delle frontiere nella rotta balcanica (Macedonia, Serbia, Ungheria ed Austria), adesso l’Unione tenta di consolidare con Ankara la nuova Fortezza Turchia.

Secondo l’accordo raggiunto, mentre la sorte dei migranti già presenti in Grecia rimane ancora dubbia, i migranti giunti irregolarmente sulle coste greche dal 20 marzo in poi dovranno essere deportati in Turchia, che sarà sostanzialmente libera di farne ciò che vuole e ciò sul presupposto che la Turchia sia un “paese terzo sicuro”, cioè un paese che l’Unione reputa assolutamente rispettoso dei diritti umani, delle libertà fondamentali e stabile dal punto di vista della sicurezza interna; una Turchia che sarà dunque in grado di valutare, nel pieno rispetto del diritto internazionale, le domande di asilo.

Tanto sicura la Turchia di Erdoğan, tanto rispettosa dei diritti fondamentali che può farsi carico della vita di migliaia di disperati, tra cui molti minori bisognosi di protezione internazionale, ma che, secondo quanto dichiarato da Jean-Claude Juncker due giorni prima dell’accordo al quotidiano tedesco Handselblatt, non sarà pronta per entrare nell’Ue nemmeno tra dieci anni.
Postilla alquanto inquietante è quella che prevede che per ogni siriano accolto da Ankara, un siriano potrà essere accolto dagli stati europei, ma soltanto nel limite delle 70mila unità, numero che probabilmente sarà presto superato e che metterà di certo in crisi un accordo già fragile sia dal punto di vista giuridico, che dal punto di vista politico.

Per i rifugiati non siriani invece si prospetta un trattamento di profughi di serie B, il cui futuro poco interessa ai leader dell’UE, i quali lasciano su tale punto pieni poteri alla Turchia, che potrà nei fatti decidere liberamente il futuro da riservare a queste persone, purché non arrivino in Europa. In pratica, l’Europa unita sembra scaricare le proprie responsabilità su un paese in piena guerra civile con la minoranza curda, complice del terrorismo islamico di Daesh ed il cui rispetto dei diritti umani è messo giornalmente in dubbio da vicende come il blitz contro il gruppo editoriale Zaman dello scorso 16 marzo, ostile al Presidente Erdoğan, nonché dal processo contro i giornalisti Can Dündar e Erdem Gül del quotidiano Cumhuriyet, accusati di spionaggio, divulgazione di segreti di stato, tentato colpo di stato e complicità con un’organizzazione terroristica, dopo aver documentato il passaggio di armi dall’Intelligence turca ad alcuni gruppi jihadisti vicini a Daesh ed in opposizione a Bashar Al Assad.

Inoltre, la Turchia, pur essendo uno stato firmatario della Convenzione di Ginevra del 1967, riconosce lo status di rifugiato soltanto ai cittadini europei secondo il vecchio modello della Convenzione di Ginevra del 1951, ciò significa che tutti i cittadini iracheni, afghani e pakistani che cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Turchia rischiano di essere rispediti verso dei paesi che non rispettano i diritti umani, malgrado spetterebbe loro ugualmente il diritto d’asilo.
A ciò si aggiunga la recente denuncia di Amnesty International, secondo cui si sarebbero registrati numerosi respingimenti da parte della Turchia verso quella Siria devastata dalla guerra da cui molti di questi rifugiati tentano, nonostante le sempre maggiori difficoltà, di fuggire.

Antonio Sciuto

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