Compagno Danzet

E chi le avrebbe volute scrivere mai, queste parole. Nel migliore dei casi, si rischia di passare per ipocriti; nel peggiore, per sciacalli che vogliono speculare su di una tragedia. E infatti ci ho pensato a lungo, ma ho concluso che te lo dovevo, compagno Danzet. Per salutarti, com’è giusto che sia, ma soprattutto per ringraziarti.

In redazione è difficile dimenticare il tuo contributo: una presenza discreta, quasi silenziosa, eppure mai fuori luogo. Il tuo stile di scrittura elegante, pulito, sembrava fluire con una naturalezza non comune. Eppure, ne sono sicuro, era anche frutto di uno studio attento e di un impegno serio e professionale.

Un modo di riflettere la persona che eri, del resto. Educata, preparata, a volte un po’ fuori dalle righe e dagli schemi – forse troppo ostinata?, ma mai oltre i limiti. E questo alimentava la mia stima nei tuoi confronti. Nonostante le difficoltà, le sofferenze, i problemi comuni alla nostra generazione e quelli più specifici, personali, su cui non metto bocca, sei rimasto coerente fino all’ultimo, coerente con i tuoi valori e con il tuo modo di essere. Non riesco a immaginare eredità più preziosa a cui attingere.

Quella Sinistra (la scrivo con la maiuscola in tuo onore) così idealizzata e faticosamente costruita, attraverso la politica, il giornalismo, l’attivismo, non si è mai vista. Professavi l’unità a gente che non riusciva a stare sul pianerottolo col suo stesso vicino senza insultarlo, gente che ciarlava di collettività e internazionalismo senza essere in grado di guardarsi allo specchio; e alla fine quello emarginato eri tu, quello criticato eri tu, quello messo all’angolo eri tu. E nonostante questo? Mai un lamento, mai una resa, mai un vaffanculo che sarebbe stato meritato.

Più di ogni altra cosa questo mi rimane, di te: la pacatezza che deriva da una fede incrollabile. Quei valori che nonostante tutto abbiamo il dovere morale di trascinarci dietro – più che portare avanti – perché è così che siamo venuti al mondo: disgraziati, ma testardi. Se oggi resto convinto che questo giornale, queste pagine debbano rimanere un tetto sotto cui ospitare quei valori, è certo anche grazie a te, compagno Danzet. L’ambientalismo, il femminismo, il socialismo pragmatico, l’antifascismo, l’antirazzismo. Sembrano parole vuote, ripetute un po’ per noia e un po’ per slogan; e invece sono tutta la nostra vita, e in alcuni casi pure tutta la nostra morte.

E quindi ti saluto, compagno Danzet, ma ti ringrazio anche. Perché il tuo lucido esempio in questa ultima battaglia, contro una malattia bastarda che ha condannato un’intera terra, un intero popolo, è un atto finale senza redenzione, ma carico di una dirompente dignità. Siamo esseri umani, possiamo anche perdere. E a chi è di Sinistra capita pure spesso. Ma quei valori no, non li possiamo perdere, perché ci priverebbero della nostra stessa umanità. Quei valori vanno oltre la sconfitta, oltre le critiche, oltre l’emarginazione, oltre il silenzio, oltre la morte stessa. Nessuno ce lo potrà togliere.

E quindi ti saluto, compagno Danzet, e poi mi taccio. Alla fine ho scelto di essere vigliacco, e scrivere questo commiato più per me stesso che per te. Non ho dubbi che lo apprezzeresti in ugual modo, con la tua gentile leggerezza e un peso opprimente sul cuore. Un peso che, mi auguro, finalmente non trascini più.

A pugno chiuso, per sempre.

Emanuele

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