Mentre nel resto del mondo si prepara lo sciopero globale femminista, in Italia stiamo a fare battute sulle caramelle al limone. Senza nulla togliere alla necessità di dare una risposta ai continui attacchi simbolici del capitalismo patriarcale, si ha l’impressione che, come al solito, ogni scusa è buona per dare inutile visibilità alle più ridicole campagne di (dis)informazione e marketing.
Quando le risate per i “meme da 8 marzo” si saranno estinte, che cosa rimane di cui parlare? Per fortuna moltissimo.
Da tre anni a questa parte lo sciopero femminista riempie le crepe della politica tradizionale, forzandone i limiti e cercando di imporsi come lotta rivoluzionaria del momento. E per questo non dobbiamo ringraziare certo le inefficienti politiche statali, ma l’azione di collettivi come Non una di meno in Italia. E non solo.
Lo sciopero femminista è anticapitalista
Alla vigilia dello sciopero per l’8M è importante ricordare una cosa: il movimento femminista trasnazionale che negli ultimi anni è diventato protagonista della rivoluzione globale non ha niente a che vedere con il femminismo delle nostre madri e delle nostre nonne.
Il movimento femminista globale rifiuta di ridursi a un dialogo con la tradizione teorica femminista così come rifiuta la possibilità di combattere l’oppressione femminile su scala nazionale.
Lo sciopero femminista rivela la coincidenza tra patriarcato, neoliberalismo e neocolonialismo rivendicando una lotta anti-patriarcale, anti-capitalista e anti-razzista.
Una politica di azione come lo sciopero globale serve per riconoscere la necessità di una rivoluzione profonda, significa partire dai corpi oppressi non solo dal genere, ma anche da classe e razza, per rompere contro un ordine sociale che non ci rappresenta:
- quello della violenza di genere, che obbliga le lavoratrici in una condizione di subalternità e precarietà e quindi a una divisione sessuale del lavoro;
- quello della limitazione del movimento, che obbliga le donne migranti a rientrare in gerarchie che contribuiscono al loro sfruttamento;
- quello della limitazione della libertà sessuale e riproduttiva, che colpisce in misura diversa a seconda del colore della pelle e del conto in banca.
Lo sciopero femminista è globale
Anche se non tutte le realtà del movimento femminista partecipano allo sciopero globale (sia perché non ne condividono la pratica politica, come il collettivo Afroféminas, sia per impossibilità politica, come in Francia e Nicaragua), questo non cambia la portata globale dell’azione rivoluzionaria femminista.
Dalla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori delle maquiladoras in Messico parte una lotta che non solo tocca le rivendicazioni salariali della classe operaia, ma si interseca con il rapporto di sfruttamento operato dal nord, rappresentato dagli Stati Uniti, nei confronti del sud globale.
Così in Bangladesh, lo sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori tessili si configura come una lotta trasnazionale al capitalismo e alla globalizzazione, che sfrutta e opprime i lavoratori del Terzo Mondo a vantaggio delle grandi multinazionali occidentali.
Anche la lotta delle militanti curde in Medio Oriente si inserisce in un quadro globale. Da vent’anni le donne del Kurdistan dimostrano che la rivoluzione curda non si riduce alla lotta armata e all’indipendenza del popolo curdo, ma mira a una radicale trasformazione della società che passa attraverso la costruzione di un nuovo modello sociale.
Non solo decostruzione di saperi e conoscenze, ma costruzione e riproduzione di nuovi saperi. Conoscenza che in questo caso prende il nome e la forma di Jineoloji, la “scienza delle donne”, un approccio che si propone di superare il femminismo e i limiti delle scienze sociali occidentali.
In Turchia, l’agitazione femminista si coniuga attivamente con le rivendicazioni della comunità LGBT+ e insieme a questa propone uno sciopero contro l’oppressione patriarcale a autoritaria del governo di Erdoğan. Una battaglia che include anche l’opposizione alle terribili politiche migratorie messe in campo, con l’aiuto dei dittatori del Mediterraneo, dall’Unione Europea.
La rivoluzione globale è donna
La rivoluzione globale è donna, ma questo non significa che sia una rivoluzione solo per le donne. Così come la partecipazione allo sciopero femminista non dovrebbe essere solo delle donne.
Riconoscere il ruolo delle donne nei processi di produzione e riproduzione sociale non significa ‘femminilizzarli’ e ancor meno significa fomentare la ‘lotta tra i sessi‘, come vorrebbero presentarla i nostri amati politici sovranisti e populisti.
Riconoscere una rivoluzione che parte dalle rivendicazioni delle donne, vuol dire sottolineare la battaglia al capitale, battaglia che prende, tra le altre, la forma dell’auto-determinazione riproduttiva.
Non basta essere per la libertà di scelta delle donne sui propri corpi. La libertà è partecipazione alle pratiche di sciopero che mirano trasformazione sociale; è partecipazione al riconoscimento delle condizioni materiali che limitano la libertà di donne e uomini in tutto il mondo attraverso le linee di genere, classe e razza.
Insomma, fate un favore a voi stessi e a tutti: sostenete la rivoluzione femminista e l’8 marzo partecipate allo sciopero.
Claudia Tatangelo
Grazie, Claudia, per la chiarezza e l’ampio sguardo sugli incroci transnazionali della questione femminile. La tua passione, lucidità e spessore espressivo danno coraggio e speranza.
Grazie a te per la lettura ed il commento!