Nella società della moderna globalizzazione e della democrazia, il concetto di rivoluzione ha assunto un carattere ormai sterile limitato agli ambiti dello studio accademico e formale, abbandonando la sua forza d’ispirazione ideologica, che aveva trascinato i movimenti rivoluzionari di tutto il mondo alla fine degli anni sessanta, a mera utopia. Tuttavia, assistiamo ad una crescente insoddisfazione sociale, che conseguentemente si allarga agli ambiti della politica con il trionfo dei populismo e agli ambiti economici e lavorativi. Per dirla in altre parole: quei movimenti di coercizione descritti nel libro di Angela Davis del 1971, intitolato “If They Come in the Morning: Voices of Resistance”, non sono mutati; il razzismo non è stato sconfitto, la discriminazione sociale perdura coordinata dalla forbice sociale che continua ad aprirsi nel panorama moderno. In questo contesto, il ruolo dei movimenti femministi assume quindi un significato ben più importante del rappresentare un’ideologia: rappresenta uno degli ultimi strumenti di rivolta che coinvolge la popolazione in maniera collettiva, avviluppando le radici ai cardini dell’empatia, della libertà e dell’uguaglianza sociale.
E doveroso considerare, d’altra parte, come esistano delle differenze sostanziali tra il contesto sociale, politico ed economico degli anni in cui Angela Davis scrisse il suo manifesto e il panorama odierno; cambiamenti che hanno modificato la percezione di questi movimenti rivoluzionari e il loro ruolo nella società moderna. Prima di tutto, è bene considerare come la repressione esercitata in passato si mostrava come: «una disperata risposta dell’élite imperialista a contenere un altrimenti incontrollabile e crescente disamore, che avrebbe portato ad una rivoluzionaria trasformazione della società».
Nel momento in cui, precisa Angela Davis, la classe dominante si affida per governare allo strumento della coercizione piuttosto che sulla legittimità stabilita, i movimenti rivoluzionari devono mantenere un atteggiamento di offensiva tout court.
Tuttavia, nella società moderna tutto viene indicizzato al fine di una produzione di surplus di capitale umano. Ovvero, il sistema capitalista ha dato il via libera a un liberismo sfrenato che ha distaccato i cardini della percezione empirica della realtà, alterando così i suoi strumenti di lavoro ed adattandoli alle esigenze della popolazione. L’esempio dello strumento democratico risulta così più comprensibile. In questa realtà, i movimenti rivoluzionari sembrano non essere più lo strumento per mettere in evidenza queste problematiche, che stanno alla base del comportamento sociale e psicologico, come per esempio ne è conferma il crescente numero di patologie depressive in Europa. La perdita del concetto di felicità, poichè essa non è più ricercata tramite la liberazione dai canoni individualistici ma assoggettata a un bisogno economico, a un accumulo e dispersione di capitale che differenzia in primis la società moderna. Tuttavia, questa consapevolezza di un malesse e disagio sociale, non è andata dispersa. E avvenuto ciò che temevano i rivoluzionari: una scelta consapevole da parte di quello stesso popolo nel guardare dall’altra parte.
«Alcuni di noi, bianchi o neri, conosce quanto è stato grande il prezzo pagato nel portare alla luce una nuova consapevolezza, una nuova società ed una nuova nazione. Se lo sappiamo, e non facciamo niente, siamo peggiori degli assassini assoldati nel nostro nome. Se lo sappiamo, allora dobbiamo combattere per la vostra vita come se fosse la nostra[…] Poichè se ti prenderanno la mattina, allora verranno per noi quella notte». (James Arthur Baldwin)
È quindi più che necessario che anche le donne facciano sentire la loro voce, tramite i movimenti del femminismo e delle rivendicazioni sociali, non solo in una giornata a loro dedicata, non solo nello spazio di una manifestazione: la rivoluzione deve essere continua, contro tutti gli ambiti di potere e le parole d’ordine della coercizione; puntare a collettivizzare la società, a unirla e liberarla dalle barriere del pensiero moderno, unendosi così alle altre voci che reclamano unite la loro libertà.
Voci come quelle portate in auge da Assia Petricelli e Sergio Riccardi, autori della graphic novel “Cattive Ragazze“, i quali hanno deciso di mostrare al grande pubblico quindici storie di ragazze, di donne, di madri che si confrontano con le difficoltà della vita e ne escono vittoriose. L’importanza del messaggio trasmesso è racchiuso in un frammento di intervista alla sceneggiatrice, in quella speranza che:
«le ragazze traggano da queste biografie fiducia in se stesse e nelle proprie risorse e il coraggio di scrivere la propria storia senza farsela dettare da nessuno. Al tempo stesso spero che le aiuti a prendere consapevolezza dell’importanza delle alleanze, con altre donne, ma anche con gli uomini: perché il mondo non si cambia da sole, ma insieme alle altre e agli altri.»
Siamo di fronte a un appello, a una presa di coscienza: il femminismo inserito nella società moderna non deve rappresentare un’ancora di salvezza solamente per il mondo femminile. Deve aprire gli occhi; deve aiutare, grazie al coraggio delle proprie rivendicazioni, il movimento rivoluzionario in seno alla collettività, in modo tale che si possa realizzare per tutti il progetto di liberazione dall’ordine costituito.
Niccolò Inturrisi