L’attenzione mediatica rivolta a Pier Paolo Pasolini quarant’anni dopo la sua uccisione è stata sorprendente. Non inadatta o fuori luogo come qualcuno ha sibilato, ma sicuramente sorprendente.
Merito soprattutto della RAI, che forte dei propri interminabili archivi storici ha proposto in un arco di circa tre giorni numerosi approfondimenti sul poeta/regista/scrittore/giornalista/saggista, oltre alle trasmissioni integrali di alcuni fra i suoi più significativi film, come la trilogia della vita andata in onda dalle 23 fino al mattino seguente su RAI Movie (una fascia oraria che certo non deve aver permesso grandi percentuali Auditel, ma forse in questo caso adatta ai contenuti).

Sorprendente è stato però soprattutto l’interesse manifestato per Pasolini da migliaia e migliaia di utenti social, con livelli di gradimento impensabili prima di questa ondata di frasi e fotografie che già dal primo mattino del 2 novembre hanno infestato ogni schermo del Belpaese: #Pasolini40 top trend su Twitter, e via di citazioni.

“Trend”, “social”, “hashtag”… Avete capito bene. Al termine di un lungo processo (più lungo rispetto ad altre morti eccelse) alla fine anche Pasolini è diventato un prodotto di massa. Badate bene: lo è divenuto il suo nome, magari la sua faccia, sicuramente la storia del suo omicidio, ma non il suo pensiero. Quello non lo sarà mai.

All’università La Sapienza di Roma nel corso dell’incontro “PPP. In direzione ostinata e contraria, quarant’anni dopo” si è parlato anche di questo, del “Pasolini icona pop” come è stato provocatoriamente definito dalla moderatrice del primo panel Silvia Leonzi, docente di Industria Culturale e Media Studies. Un Pasolini oggi sugli scaffali di molte case italiane perché fotogenico, secondo Giovanbattista Fatelli, ma del quale non ne comprendiamo il messaggio, soprattutto adesso che “stiamo andando così lontano da non sentire più l’eco delle sue parole“.

Pasolini incompreso dunque, ma ormai prodotto di massa, e quindi, quasi per definizione, oggetto di strumentalizzazione:

Guido Vitiello a tal proposito cita una dichiarazione del primo ministro Renzi, che in un Porta a Porta di qualche anno fa si era detto “pasolinianamente” d’accordo con le forze dell’ordine in Val di Susa (velo pietoso già steso), ma anche le ultime interviste del regista Martone, che per raccontare Il giovane favoloso definì Leopardi “il Pasolini dei suoi tempi“. Insomma strumentalizzazione, nel primo caso, o semplice ignoranza nel secondo.

Difficile ricordare un intellettuale tanto poliedrico rendendo anche solo in parte giustizia alla sua opera, difficile soprattutto se a farlo dovrebbero essere proprio quei media che mentre era in vita lo mortificavano e calunniavano senza sosta.

Era bene che Pier Paolo Pasolini fosse ricordato come il frocio comunista che comprava giovani“, dice Franca Leosini, autrice e conduttrice di Storie Maledette, ricordando tempi lontani. Critiche orribili ad un uomo sensibile, e che “viveva male la sua omosessualità“, al punto che anche “quando andava con i famosi marchettari” (e capitava anche che si prostituisse qualche minorenne, per la gioia dei cultori della pedofilia del poeta) immaginava storie d’amore, e non si capacitava del perché dovesse corrispondere all’amore il denaro.

Si potrebbero dire miliardi di cose sull’opera di Pasolini, che oggi la critica riduce a “controversa”. Controverso fu solo l’uomo, e sfido a trovare un essere umano che non lo sia, ma le sue opere, “controverse“, non lo erano affatto, se non nel voler analizzare un mutazione antropologica la quale egli stesso avrebbe dovuto percepire sulla propria pelle, avrebbe…

Sono una forza del passato” disse una volta Pasolini, ma non era un nostalgico passatista, come fa notare il docente di Filosofia e Scienza politica Michele Prospero: vedeva invece che la società dei consumi stava cambiando gli uomini, come mai prima d’ora, e voleva dare ai posteri gli strumenti per poter rifiutare la mentalità borghese. Senza tornare al passato dunque, ma andando oltre.

Nessuno ha mai recepito veramente il suo messaggio, perché le sue non erano critiche astratte e da salotto, ma grida nel deserto, drammatiche chiamate al cambiamento.
Nessuno lo ha mai capito veramente, ed ora che le sue citazioni girano decontestualizzate e prive di senso per il web sarà ancora più difficile che questo accada.

Nessuno lo ha mai compreso perché nulla è cambiato, e la società consumistica oggi inghiottisce anche il suo nome.
Ma solo il nome, si badi bene.

Valerio Santori
@santo_santori

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