Afghanistan
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Le parole di Yasmina Khadra (pseudonimo di Mohammed Moulessehoul) tratte dal suo romanzo Le rondini di Kabul (2002) risuonano così attuali anche se descrivono l’Afghanistan dei primi anni 2000: «Kabul è diventata l’anticamera dell’aldilà. Un’anticamera oscura, dove i punti di riferimento sono adulterati; un calvario pudibondo; un’insopportabile latenza osservata nella più stretta intimità». Kabul, e tutto l’Afghanistan, da tre anni a questa parte sono tornati ad essere quel calvario pudibondo descritto da Khadra. In particolare, il regime talebano ha recentemente emanato una legge contenente circa 35 articoli che con il pretesto dell’applicazione della Sharia, la legge islamica, viola i diritti e le libertà personali delle donne che risultano essere gli unici obiettivi di una segregazione di genere.

La legge “perseguita-donne”

La nuova legge introdotta è basata su un decreto emesso nel 2022 dal leader del regime talebano, Hibatullah Akhundzada, ed è stata pubblicata dal ministero della “Propagazione della virtù e della Prevenzione del vizio”.

In particolare, nei 35 articoli da cui è composta la legge, il popolo afghano e in particolare le donne si vedono regolamentati alcuni aspetti della vita privata che, in qualsiasi altro paese del mondo, sarebbero considerati come violazione dei diritti umani. Secondo le nuove disposizioni, alle donne afghane è proibito mostrare il proprio corpo che deve essere appositamente coperto dal burqa. È fatto loro divieto di uscire di casa senza la presenza di un mahram (figura maschile “guardiana” che possiede un legame di sangue o coniugale con una donna). Inoltre, alle donne afghane è proibito far sentire la propria voce in pubblico perché considerata come una cosa privata vietando, di fatto, la libertà di poter parlare, leggere o cantare.

È poi proibito, per quanto riguarda la sfera dei media, la creazione e la divulgazione di immagini che raffigurano esseri viventi. Mentre per gli uomini è fatto divieto di portare la barba corta o dei pantaloni che vadano sopra il ginocchio. Il non rispetto di questi divieti, per il regime, viene considerato come atto immorale e le sanzioni stabilite variano da semplici avvertimenti verbali, passando per le multe e arrivando fino all’ arresto.

Apartheid di genere, è necessario riconoscerlo

Da quando il regime talebano è ritornato al potere in Afghanistan, è stato introdotto un clima di terrore e intimidazione che pone all’apice dei loro obiettivi l’oppressione delle donne e il controllo della loro sfera pubblica e privata. Infatti una delle prime manovre attuate, appena ritornati al potere, è stata quella di smantellare il ministero degli Affari Femminili per sostituirlo con il Ministero della Promozione delle virtù e della Prevenzione del vizio. 

In seguito, hanno escluso le studentesse delle scuole secondarie dalle loro classi ed hanno bloccato l’età massima di istruzione concessa alle bambine a 12 anni oltre alla reintroduzione dell’obbligo del burqa. Giorno dopo giorno, dal 15 agosto di tre anni fa, in Afghanistan è iniziata una vera e propria segregazione di genere che viene fatta passare per semplice applicazione della legge islamica.

L’attivista afghana Metra Mehran, in esilio negli Stati Uniti dal 2021, in un’intervista per Il Manifesto ha dichiarato che «L’apartheid è un crimine secondo il diritto internazionale, ma solo per la discriminazione razziale. Oggi per abusi come quelli compiuti in Afghanistan non c’è responsabilità giuridica. È tempo di codificare anche l’apartheid di genere come crimine.” aggiunge poi che il riconoscimento della segregazione di genere come crimine internazionale “Aiuterebbe a riconoscere non solo la responsabilità dei Talebani, ma anche quelle della comunità internazionale. Inoltre, darebbe speranza al popolo afghano e porterebbe con sé stigma e vergogna. Sarebbe cruciale per mostrare la solidarietà globale e scuotere la coscienza dell’umanità e fornire un quadro giuridico su come affrontare la situazione».

Il riconoscimento dell’apartheid di genere come crimine internazionale, come suggerito da Mehran e da tanti altri attivisti per i diritti umani, non è solo una questione di giustizia, ma un passo necessario per ristabilire la dignità umana a tutte quelle anime intrappolate in quell’oscura anticamera dell’aldilà di cui parlava Khadra.

Benedetta Gravina

Benedetta Gravina
Sono Benedetta, ho 27 anni (ma solo all'anagrafe, nell'animo sono ancora adolescente) e sono laureata in Lingue all'università di Roma "La Sapienza". Amo la musica, la lettura, l'antifascismo, i viaggi organizzati all'ultimo momento ma, prima di tutto, il mare: per me il suono delle onde rappresenta la più bella canzone mai composta.

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