“Non siamo una terra promessa, ma una di passaggio tra l’Africa e l’Asia. Abbiamo ricevuto tutto e siamo stati colonizzati.”
Queste le parole dello scrittore napoletano Erri De Luca, pronunciate ieri in occasione della presentazione del suo ultimo libro “La natura esposta” al Museo archeologico nazionale di Napoli. Un romanzo che stermina l’ingiustificata iniquità delle differenze, un romanzo che dissipa la loro dissennata brutalità, che non assiste, inerte, al teatro degli orrori, ma, impavido, reagisce e si oppone.
La diversità, che galoppa tra le pagine del libro, si infiltra nella professione del culto religioso dei tre protagonisti che lo costellano: un cristiano che chiede consiglio e aiuto ad un rabbino e un operaio algerino musulmano, al fine di restaurare scrupolosamente la statua di un crocifisso, volendo eliminarne un panneggio che copre le nudità. La nudità è verità, autentica manifestazione della realtà, scevra di vane alterazioni o maschere capricciose, ma espressione di incorrotta veridicità. “La nudità è fragile”, debole e delicata perché profonda, coattivamente “costretta ad assumere certe forme.” Essa mal tollera il pudore che castiga e osteggia l’immacolata purezza della natura, al contrario può essere conosciuta solo toccandola fisicamente, solo penetrando in essa.
“Tutto ciò che può essere riconosciuto viene solo al tatto.”
Ed è soltanto sfiorando il corpo di Cristo che ci si addentra nei più reconditi segreti della cristianità.
Il romanzo vede come protagonista un uomo che aiuta i profughi a passare il confine. Per una seconda volta vengono abbattute le dighe moleste della diversità, si schianta il muro della differenza tra i verbi “accogliere” e “raccogliere”. L’accoglienza dei migranti non è altro che un raccogliere, un “prendere ciò che è stato seminato”, impadronirsene e curarlo, allevarlo come se fosse nostro, anche se chi l’ha seminato non siamo noi. E proprio in virtù di ciò, i confini, queste squallide e sordide delimitazioni delle terre, questi sbarramenti che rammentano l’immagine turpe delle carceri, non esistono. Così come il mare non permette di essere arginato, sebbene l’uomo pretenda di dominarlo. Non si può ingabbiare ciò che per natura è libero, non si può porre un freno arbitrario e insensato alla libertà.
Nella stesura di quest’opera, Erri De Luca ha preso spunto da una storia vera. Del resto, secondo lo scrittore, soltanto dalla vita vissuta si può estrarre la materia per uno scritto. La scrittura cristallizza, immobilizza i dettagli, mette le briglie a ciò che l’occhio osserva e riporta per non lasciarsi sfuggire nulla.
“La storia è un cristallo per lo stesso scrittore.”
La storia è cristallo, ma il racconto è diamante, specialmente quando si sviluppa da sé, senza dar retta a nessuna regola, ma esplodendo nella sua virulenta bellezza.
Clara Letizia Riccio