Mantenere buoni rapporti con il Vaticano è fondamentale per ogni governo italiano, ma anche la Chiesa non può rinunciare al trattamento di favore di Roma. Ed ecco che mentre il laicismo resta un vago principio costituzionale Salvini prova a riappacificarsi con il (per lui) “non-papa” Bergoglio per conservare il bene superiore: lo status quo.

Con il governo Conte o Salvini, che dir si voglia, che ha da poco festeggiato il suo primo e travagliato mese di vita, maggioranza e opposizione sembrano essersi assestate su una dialettica politica particolarmente vivace nei toni grazie all’esuberanza di alcuni membri dell’esecutivo, ma in fondo non così diversa da quella che ha caratterizzato le precedenti legislature quanto la tronfia retorica del “governo del cambiamento” vorrebbe far credere. Migranti, Europa, minoranze etniche: questi per ora i temi al centro del dibattito pubblico. Ma è forse giunta l’ora di parlare dell’elefante nella stanza che tutti vogliono ignorare, di un’entità de iure spirituale ma de facto eternamente presente – ed eternamente ingombrante – nella politica italiana: la Chiesa cattolica di Jorge Bergoglio.

Ancora? Sì, ancora. Perché se è vero che nell’ultima legislatura ci sono stati passi avanti sui diritti civili – basti pensare alle unioni civili e al biotestamento che probabilmente resisteranno alle esternazioni di Fontana –, questi stessi segni di progresso non solo non sono conquiste definitive né definitivamente soddisfacenti, ma soprattutto non devono indurre a sottovalutare il problema dell’ingerenza del Vaticano nella politica italiana. Ingerenza che difficilmente verrà meno con il nuovo governo, che pur nella sua parte leghista è sempre stato ostile all’operato di Bergoglio.

Il cambio di rotta di Salvini nei rapporti con la Chiesa

O forse sarebbe meglio dire che lo era stato. «Probabilmente questa settimana avrò l’onore di incontrare papa Francesco e questo mi riempie di gioia», ha infatti dichiarato non più di due settimane fa il ministro degli Interni Matteo Salvini, dimenticando che prima del 4 marzo ci teneva invece a ribadire che il suo papa era solo uno, Benedetto XVI ovviamente. Su Bergoglio si limitava a sentenziare che non gli piaceva un papa che «fa entrare gli imam in Chiesa», curiosa metafora per spiegare il dialogo interreligioso.

Posto che dopo i fatti degli ultimi mesi dovrebbe essere chiaro a tutti che Salvini non fa mai nulla per caso, per comprendere lo slalom del segretario della Lega per evitare lo scontro istituzionale con il capo della Chiesa bisogna proiettarsi già oltre: Salvini sa bene che una contrapposizione netta ai messaggi di apertura del pontefice – in particolare sulla questione migratoria – non gli porterebbe alcun vantaggio.

Primo, rischierebbe di perdere consensi in una parte del mondo cattolico di destra ancora fortemente legata al ruolo anche politico del papa, indipendentemente da chi lo ricopra; secondo, incrinerebbe i rapporti con l’elefante di cui sopra, cosa del tutto sconsigliata a qualsiasi governo italiano.

Anzi, fare buon viso a cattivo gioco potrebbe far emergere diverse contraddizioni in seno alla Chiesa stessa che potrebbero portare acqua al mulino del Carroccio. È semplicemente assurdo, infatti, pensare che la Chiesa fortemente conservatrice di Ratzinger si sia in toto convertita nella Chiesa quasi-progressista di Bergoglio.

La Chiesa cattolica in Italia è elefantiaca non solo per il peso politico, ma anche per la sua indefinita ramificazione sul territorio. E su questi rami si trovano anche anime molto distanti dal liberalismo di Francesco, assurto per alcuni addirittura a leader morale di una sinistra in crisi. Con le giuste sponde e protezioni politiche, infatti, potranno facilmente tornare a sorridere le sezioni più tradizionaliste e conservatrici del Vaticano.

L’ultimo vero miracolo cattolico: vivere di politica senza fare politica

Il camaleontismo e la presenza della Chiesa sul territorio riescono ad avvicinarla sempre a ogni partito di governo, se non nelle parole almeno nei fatti. Prima era il PD, oggi la Lega. Cambia poco, perché come fa notare un articolo di Linkiesta il rapporto privilegiato tra Chiesa e governo dipende da un fatto incontestabile: «Le istituzioni e le associazioni cattoliche sono attori fondamentali nel campo sociale ed educativo, dove lo Stato non ha le risorse per arrivare».

Lo Stato ha bisogno della Chiesa, la Chiesa ha bisogno dello Stato, quindi si riservano reciproci favori che spesso faticano ad arrivare sulle prime pagine dei giornali. Prendiamo il caso più eclatante: il rapporto tra Stato e religione islamica. Secondo un rapporto ISMU del 2016, in Italia risiedono quasi un milione e mezzo di musulmani. Ebbene, chi tra loro è cittadino italiano e compila regolarmente la propria dichiarazione dei redditi non può devolvere l’8×1000 ad alcuna associazione religiosa islamica. Nel 2010, infatti, il Parlamento ha escluso i musulmani dalla ripartizione delle quote dell’8×1000, riservato tra gli altri a induisti, pentecostali, mormoni, insomma a culti molto meno radicati in Italia.

Il regalo dell’8×1000: mezzo miliardo in più alla Chiesa

Ed ecco che nel caso citato un islamico deciderà allora in molti casi di non esprimere nessuna preferenza, ipotizzando verosimilmente che non devolverà parte del proprio reddito ad altre confessioni religiose. Il caso di un italiano di religione islamica è peculiare, ma in realtà più della metà degli italiani non esprime una preferenza.

Bene, nel caso di mancata preferenza l’8×1000 viene ripartito tra i vari beneficiari in rapporto proporzionale alle scelte degli altri contribuenti. In questo modo la Chiesa cattolica nel 2013 ha riscosso quasi il 90% del gettito, pur ottenendo meno del 40% delle preferenze. In tutto, più di un miliardo di euro.

Questo è solo un esempio di come la Chiesa cattolica goda di privilegi unici per una confessione religiosa all’interno di uno Stato laico. La parola Chiesa compare in questo articolo quindici volte. Nel contratto di governo compare quindici volte in meno. Zero. Se parafrasando Martin Luther King la Chiesa non è la padrona o la serva dello Stato, ma la sua coscienza, allora in questo stato (sic) di cose la Chiesa rimarrà – come la migliore coscienza – tanto invisibile quanto immutabilmente onnipresente.

Davide Saracino

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