Domani sera si chiude un altro ciclo della saga di Harry Potter sparato sulle reti Mediaset in prima serata.
Parliamo dell’opera più popolare dell’era contemporanea, fondativa del fantasy moderno (e, per un effetto matrioska, dell’urban fantasy). Un successo partito dalle fasce più giovani di pubblico, ma che ha saputo risalire la corrente, conquistando le generazioni più mature, e riscenderla, incontrando di volta in volta le nuove.
Un successo costante che probabilmente non avrà mai fine. Perché Harry Potter è già storia. Letteratura. Cinema. Immaginario collettivo.
Ma quali sono i motivi dell’incredibile successo di Harry Potter?
Perché, ogni volta che Harry Potter viene proposto in tv, siamo come incantati da una qualche sinistra magia che ci fa rimanere sintonizzati sul canale?
La sua perfezione? No, perché Harry Potter non è un’opera perfetta, soprattutto i film. Ma in compenso, è un’opera per tutti e di tutti. Ovvero, gode di alcune caratteristiche che gli permettono di incontrare la sensibilità di un gran numero di persone e le miscela bene, arricchendole di una fantasia che sembra illimitata. Vediamo quali sono nel dettaglio.
Prima di tutto il genere di appartenenza. Essenzialmente, Harry Potter è una storia di riti di passaggio, dove i protagonisti – bambini – diventano adulti, affrontando piccole e grandi difficoltà come i problemi di cuore, le angherie del compagno di classe, la solitudine, il lutto.
Alla fine di questo percorso ogni opera di formazione è chiamata a trasmettere una morale ed Harry Potter non ne è esente. Nel suo caso ci insegna a non perdere mai la speranza. Una morale forse banale ma che diventa efficace nella saga della Rowling perché non è somministrata in maniera retorica allo spettatore, ma viene rafforzata ricorrendo alla concretezza del sogno. Harry Potter ci mostra chiaramente come dietro il velo di un mondo ingiusto, a volte, si possa celare un altro mondo incredibile dove ogni desiderio diventa realtà.
Altro elemento decisivo, e che ha proiettato Harry Potter nella storia della letteratura, sono i personaggi. E no non parliamo dei personaggi di contorno, anche loro molto stratificati e profondi, ma dei protagonisti: ovvero Harry e Voldemort. Il primo, è uno svantaggiato con cui diventa facile empatizzare: ha perso la famiglia, da quella adottiva viene trattata come un reietto, e inoltre ha un nemico che giura di eliminarlo da quando è in fasce. Tutto ciò al lettore/spettatore appare tremendamente ingiusto, un vero e proprio accanimento della sorte (come fosse vittima di una provvidenza che agisce in maniera opposta), ma Harry, nonostante ciò, rimane un buono. È la prova evidente che lui non sia un personaggio da temere, bensì una figura pura in grado di sintetizzare in sé tutti i buoni sentimenti, un riferimento morale che il pubblico può ergere a modello e in cui spera di rivedersi.
Il fascino dell’antagonista: Voldemort
Il secondo, Voldemort, è uno dei più grandi villain della letteratura fantasy contemporanea. La sua storia parte da quel “tu sai chi” delle prime pagine dove avvertiamo subito la presenza ingombrante del personaggio tramite proprio… la sua assenza. La sua venuta è attesa, temuta, centellinata, presagita. Un personaggio che al di là della sua malvagità è armata di fascino e suggestioni. Lo vorremmo veder apparire, ma in realtà non vogliamo. È l’Hitler del mondo di Hogwarts, l’Innominato senza alcun briciolo di pentimento. Una figura vacua e oscura che respinge e attrae.
Il successo di Harry Potter è questione di magia
Un ulteriore chiave del successo globale e trasversale di Harry Potter è l’ambientazione scolastica. Quel luogo deputato alla formazione dei maghetti, ma anche di noi babbani, dove abbiamo affrontato esperienze che possono essere elevate ad universali: il professore ingiusto, l’amico del cuore, il bullo, i primi amori. Attraverso la scuola, Harry Potter crea un percorso esperienzale simmetrico tra finzione e realtà, sebbene il nostro sia stato sicuramente molto meno straordinario di quello dei protagonisti Hogwarts.
Infine, più importante di tutti, c’è l’ultimo elemento: la magia.
Provate a chiudere gli occhi. Se vi chiedessero di esprimere un desiderio, probabilmente questo sarebbe realizzabile solo ricorrendo alla magia.
Ecco, in Harry Potter, il mondo magico non è il mero contesto che fa da ambientazione agli eventi. Non è un semplice oggetto (un’abilità, uno strumento..) da utilizzare in base alla necessità di trama. Ma è una monade, un elemento unico che permea la trama e i personaggi.
Ci spieghiamo meglio: la narrazione basica presente in altre opere seminali come, ad esempio, Star Wars, sarebbe riproducibile in altre ambientazioni. Nel caso dell’opera di George Lucas, c’è un imperatore (Palpatine) che ha messo sotto scacco il mondo conosciuto e cerca di appianare i moti ribelli (i Ribelli) usando il suo arsenale (la Morte Nera). Senza l’ambientazione fantasy futuristica, Star Wars, di sicuro non avrebbe avuto lo stesso successo, certamente non avrebbe lasciato quell’impronta profondissima nell’immaginario del pubblico, ma la storia sarebbe stata riproducibile facilmente anche in altri contesti (nel Medioevo, nel presente, in un futuro distopico terrestre).
Altro esempio: gli intrecci narrativi di Game of Thrones si sarebbero potuti riprodurre in tante altre ambientazioni sostituendo le spade con le armi laser, i draghi con dei dinosauri alieni provenienti da un altro pianeta e cos andare…
Con Harry Potter si può fare lo stesso: lo si può spogliare dei suoi elementi basici, ma poi, cosa ne rimarrà? Niente. Più delle altre opere citate, Harry Potter non ha ragione di esistere in una qualsiasi altra ambientazione (se non in maniera estremamente forzata). L’opera di J.K Rowling ha creato un nucleo inscindibile tra ambientazione, protagonisti, narrazione e oggetti.
Luke Skywalker senza spada laser è comunque l’eroe che deve conoscere il suo passato e compiere il suo destino e salvare il mondo conosciuto.
Harry Potter, senza bacchetta magica, non è nessuno. Non puoi dargli una spada e tracciare lo stesso arco narrativo. Senza la magia, senza il suo contesto, Harry Potter non esiste.
È un’opera troppo vincolata ai suoi luoghi topici, ai personaggi, ai suoi oggetti, al suo linguaggio. Cosa che può apparire una debolezza per una qualunque opera letteraria, ma che in questo preciso caso diventa un punto di forza perché, questa siamesi con la propria ambientazione, lo rende in qualche modo archetipico, nello specifico, del racconto di magia.
Inoltre, altro elemento ricettivo, è che il mondo di Harry Potter è molto più vicino di quanto si pensi: non è in una “galassia lontana lontana”, in un passato indefinito dove l’Inverno sta arrivando, ma un binario vicino vicino, in Inghilterra, precisamente il 9 e ¾ .
Il sogno, insomma, con Harry Potter è a portata di mano. E grazie alla magia della Rowling lo sarà sempre.
Enrico Ciccarelli