Quando si parla di Urbanistica di genere s’intende l’approccio che propone di ripensare e pianificare il modello urbano tradizionale tenendo conto delle esigenze dei diversi soggetti che lo compongono mirando ad una città più aperta ed inclusiva.
E, siccome qualsiasi cosa che riguarda la collettività è politica, l’urbanistica non è da meno.
Nonostante se ne parli già dagli anni Settanta, in Italia questo tema è stato introdotto soltanto qualche anno fa, ispirato, forse, dal saggio “Vita e Morte delle Grandi Città” (Einaudi, 2009) della giornalista statunitense Jane Jacobs. Nel saggio, Jacobs evidenzia come le città americane siano caratterizzate da una forte zonizzazione che concentra le diverse attività produttive in determinate aree limitando le donne a mansioni di cura, tipiche del sistema patriarcale. Per cercare di contrastare questo fenomeno, diverse associazioni e progetti hanno preso vita, tutti con lo stesso scopo: rendere tuttə partecipi e consapevoli dello spazio urbano che abitano.
FirstLife, vivere la città in maniera social ed inclusiva
FirstLife è una piattaforma open source creata per rendere lo spazio urbano comodo a tuttə mettendo al centro il benessere della persona. Monica Cerrutti, assessora della Regione Piemonte ed ex presidente delle Commissioni Pari Opportunità e Ambiente, ha coinvolto il Dipartimento di informatica dell’Università di Torino che nel 2018 ha sviluppato la piattaforma.
In un’intervista per InGenere, Cerrutti racconta come FirstLife abbia preso vita ispirandosi al neonato fenomeno del crowdmapping. Afferma che il progetto «[…] si ispira alla città dei 15 minuti, il modello urbano che promuove il concetto di prossimità, già in atto in città e metropoli come Parigi, Milano e New York» e continua spiegando che «La piattaforma open source può essere utilizzata da gruppi, formali e informali, di cittadine e cittadini che mettono in rete azioni, pensieri e progettualità per il bene comune, impegnandosi nel racconto e nella documentazione del territorio».
In sostanza, questa piattaforma rappresenta lo strumento fisico con il quale è possibile superare le diverse criticità che caratterizzano il modello urbano attuale. Fra le tante utilità che può avere, FirstLife può essere utile per la lotta al divario di genere non solo in ambito lavorativo ma anche in quello sociale e, nello specifico, in quello urbanistico.
Non è un caso che diverse associazioni che operano in quest’ambito abbiano visto in FirstLife un’opportunità: Toponomastica femminile, che si occupa da più di 10 anni di geografie di genere nei contesti urbani, ha collaborato con la piattaforma per mappare i luoghi urbani intitolati a personaggi femminili nella città di Torino, dato che nelle città italiane solo il 6,6% delle strade è intitolato a figure femminili. Sempre nella città di Torino, la collaborazione con l’associazione Torino Città per le donne ha dato vita all’iniziativa Risorse in Rete: un nuovo modo per dare visibilità alle realtà civiche torinesi che operano in diversi campi come quello della lotta per la parità di genere nel lavoro, l’inclusione sociale ed il contrasto alla violenza.
Un approccio digitale potrebbe giovare all’urbanistica
L’urbanistica di genere, nell’era del digitale, si presenta come un imperativo necessario per la trasformazione delle città in ambienti più inclusivi ed equi. Il modello urbano attuale riflette schemi sociali superati, in cui si distingue il lavoro di cura (solitamente affidato alle donne) dal lavoro produttivo (associato all’uomo), dove le disparità di genere e le esigenze specifiche delle diverse comunità non vengono adeguatamente considerate. Tuttavia, attraverso l’innovazione e la digitalizzazione figlia del nostro tempo è possibile concepire lo spazio urbano come “cosa di tuttə” in cui non sussistono differenze fra i suoi abitanti.
Infine, in vista di una giornata importante come quella dell’8 marzo trasformata da una semplice (triste) ricorrenza a giornata di proteste e manifestazioni sarebbe bene inserire nei motivi delle proteste anche la rivendicazione di città più inclusive. È solo abbracciando questa prospettiva inclusiva che possiamo sperare di costruire città moderne e sostenibili per il futuro dove sentirci più attivə.
Benedetta Gravina