Lo scrittore americano Arthur Bloch, autore del compendio di frasi umoristiche “La legge di Murphy”, scrive «Proprio quando pensi che le cose non possano andare peggio, lo faranno». È il caso dell’Australia, che dopo esser stata colpita dai disastrosi incendi alimentati dal riscaldamento globale, corre ora il rischio di essere nuovamente stuprata per mano dell’avidità capitalista. Il popolo australiano e in particolare i popoli indigeni sono sul piede di guerra contro l’Adani Group, un conglomerato di multinazionali con sede in India, a cui il governo guidato dal Scott Morrison ha affidato un progetto per lo sfruttamento del giacimento minerario situato nel Queensland australiano. A tal proposito è nata la campagna Stop Adani, un movimento popolare che da anni lotta contro l’uso delle fonti fossili.
La miniera di carbone più grande al mondo
A 160 chilometri da Clermont, cittadina australiana e importante snodo per le grandi miniere di carbone presenti nella regione, la multinazionale Adani è pronta ad ampliare la miniera di Carmichael, una delle 125 miniere di carbone in Australia che, secondo l’azienda indiana, nella sua prima fase produrrà dieci milioni di tonnellate di carbone all’anno. La scusa è sempre la stessa, le motivazioni sempre uguali, il biglietto da visita dei capitalisti identico in tutto il mondo, da presentare insieme a quei progetti che vanno contro ogni logica del buonsenso, a favore della sola logica del profitto senza scrupoli. Anche Adani cerca di proteggere quello che è un progetto catastrofico per la natura e per il popolo australiano pronunciando il classico discorsetto sugli illusori futuri vantaggi economici. Basta consultare il sito della multinazionale indiana per leggere frasi come «La miniera di Carmichael, attraverso tasse minerarie e royalties, genererà miliardi di dollari per il governo nei suoi primi 30 anni di attività. Questi soldi aiuteranno a costruire nuove scuole, ospedali e strade per il Queensland» e ancora «Questo progetto creerà migliaia di posti di lavoro».
Alla cieca avidità capitalista, alle promesse di un apparente progresso economico e sociale si contrappone ancora una volta la scienza. La combustione del carbone è tra i principali responsabili del sempre più evidente fenomeno del riscaldamento globale. Secondo il “WEO-2016 Special Report: Energy and Air Pollution” dell’International Energy Acency la produzione e l’uso di energia da fonti fossili sono di gran lunga le maggiori fonti di inquinanti atmosferici provocate dall’uomo. Stando allo studio proprio l’inquinamento atmosferico provoca circa sei milioni e mezzo di morti premature ogni anno.
Gli effetti collaterali del progetto promosso dal miliardario minerario indiano Gautam Adani non si limitano all’inquinamento dell’aria e alle certe e gravi ricadute sulla salute pubblica. Il Governo del Queensland ha infatti concesso alla multinazionale indiana un a dir poco vantaggioso accesso all’uso dell’acqua. Adani potrà infatti prelevare gratuitamente una quantità illimitata di acque sotterranee per circa sessant’anni. Tutto questo si tradurrebbe in una catastrofe naturale che vedrebbe 270 miliardi di litri d’acqua andare sprecati per alimentare la vita del mostro minerario. Bisogna inoltre aggiungere il rischio di altri disastri ambientali come il danneggiamento delle falde acquifere del Grande Bacino Artesiano, l’unica fonte d’acqua per gran parte del Queensland rurale, e il possibile scarico delle acque reflue inquinate nel fiume Carmichael.
La realizzazione della miniera nel Galilee Basin provocherebbe danni irreversibili all’ambiente tanto quanto all’economia agraria della regione. Adani ha infatti intenzione di prelevare 12,5 miliardi di litri d’acqua dal fiume Suttor, compromettendo così il settore agricolo. Ancora una volta la favola della crescita economica innescata dagli investimenti nei combustibili fossili si trasforma in un incubo per il settore agroalimentare che in Australia è già in forte crisi a causa della siccità e della conseguente crisi idrica.
Stop Adani: un movimento contro la crisi climatica
La mega miniera di carbone rappresenterebbe quindi non solo un crimine contro l’ambiente biologico. Ci troviamo, come nelle Filippine, di fronte a un caso di violazione dei diritti umani. Per l’Associazione per i Popoli Minacciati infatti parte del progetto Adani occuperà i territori appartenenti alle tribù indigene Wangan e Jagalingou. «Se la miniera dovesse entrare in funzione come previsto, l’impatto sulle tribù Wangan e Jagalingou sarà catastrofico, poiché l’inquinamento diretto causato dal funzionamento della miniera non inquina solo il loro habitat. L’estrazione del carbone si svolgerà in parte in terra sacra, le cui piante e animali sono culturalmente estremamente importanti per queste persone. È uno scandalo che lo Stato abbia cancellato i Wangan e i Jagalingou i titoli che garantivano loro il possesso delle loro terre ancestrali» evidenzia l’associazione.
L’APM non è sola nella lotta contro quello che potrebbe definirsi il suicidio ecologico dell’Australia. Dal dicembre del 2016 il movimento Stop Adani, la più grande campagna popolare nella storia australiana, denuncia il progetto Adani e cerca di far venire a galla gli aspetti meno chiari dell’intera vicenda. Il movimento popolare, prima che sul progetto stesso, punta i riflettori proprio sulla multinazionale indiana. Stop Adani, oltre a sottolineare i danni ambientali concernenti i combustibili fossili, mira infatti a distruggere la favola capitalista messa in scena dal governo australiano e dall’azienda del magnate Gautam Adani. L’interrogativo che ci si pone riguarda l’affidabilità di una multinazionale che ha sversato acqua inquinata nella Grande Barriera Corallina australiana, che ha già ingannato il governo del Queensland perforando il Grande bacino artesiano senza alcuna autorizzazione e che ha mentito sui benefici in termini di posti di lavoro e royalties precedentemente previsti per le miniere Carmichael e Abbot Point.
Eppure, nonostante l’evidente inaffidabilità della multinazionale indiana, nonostante i pericoli ambientali a cui si andrebbe certamente incontro qualora tale scriteriato progetto venisse realizzato, si scopre che Intesa Sanpaolo ha concesso ad Adani un finanziamento di 77 milioni di euro. È quanto emerge da una denuncia di Greenpeace e Re:Common, autori di una lettera indirizzata ai vertici dell’istituto finanziario italiano con cui si chiede un’immediata riduzione inerenti i finanziamenti a tutte le attività collegate alle fonte fossili. «Intesa Sanpaolo si propone tra i protagonisti del Green Deal con un fondo di 50 miliardi di euro, ma le ricerche finanziarie di Urgewald e Re:Common basate sulla Global Coal Exit List rivelano come l’istituto italiano sia il decimo prestatore al mondo per progetti e società che promuovono l’espansione del carbone» afferma Antonio Tricarico, Program Director di Re:Common.
La placida connivenza tra il mondo della finanza, i governi negazionisti e le carbon major dimostra ancora una volta che il modo d’agire capitalista non potrà mai avere un benché minimo interesse nella salvaguardia ambientale, che banche, governi e grandi industrie non hanno alcuna intenzione di rinunciare al profitto presente e certo in nome di un futuro ecosostenibile che, continuando di questo passo, sarà sempre più inverosimile. Citando Greta Thunberg «C’è una cosa che ci serve più della speranza: l’azione». Ecco perché è fondamentale, in Australia come in qualunque parte del mondo, supportare campagne in difesa dell’ambiente come quella portata avanti da Stop Adani e dall’Australian Youth Climate Coalition. Finché i governi e le banche non sentiranno un costante fiato sul collo da parte dei cittadini, si limiteranno a partecipare a importanti congressi basati su greenwashing, su promesse che non verranno mai mantenute; non smetteranno di sfruttare in maniera illecita risorse naturali sottraendole alle generazioni future, si gongoleranno tranquilli nei loro lussuosi uffici mentre continueranno a commettere crimini contra la natura e contro l’umanità, accecati dalla follia capitalista. Ecco perché per i popoli di tutto il mondo il decennio appena iniziato, il più importante per la lotta contro la crisi climatica, dovrà rappresentare la vera svolta ecologica, dovrà avere come primo obiettivo la giustizia ambientale.
Marco Pisano