Diet talk, food policing e body shaming. Direbbe qualcuno che si tratta degli ennesimi anglicismi usati per qualcosa che sardonicamente è affrontabile in italiano con “chi si fa gli affaracci suoi campa cento anni”. Ma andiamo per gradi. A nessunə sembra essere estraneo quel borbottio, neanche così sommesso, che accompagna tutte le festività, propinatoci da media e social media, oltre che dalla cara zietta al pranzo di Natale. Quel refrain che recita: “ancora mangi?”, “non sarà un po’ troppo?”, “ti trovo ingrassata/dimagrita”, “da gennaio a dieta!”, “chissà quante calorie questo pasto…”. D’altra parte, ammettiamolo, se non è la zietta, siamo noi stessə con quella fastidiosa vocina nella testa a dirci che è necessario limitarci, perché altrimenti di questo passo.
Ed eccola lì, in forma smagliante anche quest’anno: la signora Grassofobia, figlia di una società che ci vuole ultra-performanti, anche a Natale, anche nei riguardi dei corpi. Eppure, i nostri corpi sono nostri, così come nostro è il Natale, che merita una chance di essere gioioso per tuttə, non perché debba esserlo per forza, ma piuttosto perché non può essere avvilito dal body shaming, dalla pressione sociale e dalle aspettative altissime “da cui poi si lanciano e si feriscono” per citare Marracash.
Nel primo episodio del podcast Grass*cast, uscito lo scorso 21 Dicembre, Elisa Manici e il duo social “Belle di Faccia”, ossia Chiara Meloni e Mara Mibelli, affrontano proprio il tema “come sopravvivere al Natale e alle feste da persona grassa”. Dedicando una quarantina di minuti al rispondere a domande incentrate sui temi della diet talk quali: come reagire ai commenti grassofobici, come sentirsi a proprio agio nei vestiti delle feste e molto altro ancora. Chiarendo il punto di partenza fondamentale: la discriminazione sistemica della società a livello individuale e delle micro-interazioni sociali, tra la spinta consumistica all’abbuffata natalizia e quella opposta ma simultanea dell’essere fit e controllatə.
Al di là delle soggettività grassə, è importante specificare che le conseguenze del diet talk e della diet culture sono trasversali, bussano alla porta dei DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) e di coloro che sono in recovery da questi ultimi, lasciando a persone che già combattono un demone il peso di queste micro-aggressioni. Rispondere, reagire o saper deviare il discorso per quieto vivere, non è sempre facile, e non dovrebbe essere un’attività consuetudinaria ancor peggio durante festività.
Il food policing, e quel bisogno di scusarsi o giustificarsi per ciò che si mangia, l’esprimere giudizi sulle abitudini alimentari altrui, considerare questo o quel cibo come premio, fino ad arrivare al filone preferito che ben si interseca con quel giudizio sul vestiario, ossia su cosa vada indossato o meno per essere appropriati rispetto alla propria fisicità, un concetto figlio di una società che sempre ricerca il controllo sui corpi, soprattutto dei corpi femminili, che non si limita certo alla diet talk.
Siamo un po’ pienə, e non di struffoli… nostro malgrado. Ancora qui a rivendicare che c’è urgentissimo bisogno di educare le sensibilità ed educare alla sensibilità. Per coloro che combattono questa battaglia, una grande esortazione: che il people pleasing non sia più l’unica strada da percorrere. Piuttosto, che si vada incontro a ciò che rende più tranquillə e felici, senza assecondare i detrattori. Il cammino verso l’abbattimento di questi ostacoli è lungo, ma si può andare avanti e farsi strada contrastando quella sottile e cattiva ironia con lo stesso “sarcasmo”. E pazienza se per qualcuno saremo ancora “ragazze acidelle”.
Ivana Rizzo