Manca ormai pochissimo al 5 Novembre, quando gli abitanti degli Stati Uniti saranno chiamati a votare fra Democratici o Repubblicani, fra la sessantenne Kamala Harris, e il settantottenne Donald Trump. Fra scegliere la continuità con il partito democratico (ma allo stesso tempo una discontinuità quantomeno per il fatto fatto che la Harris sarebbe la prima presidente donna del Paese e che ha un background culturale ben diverso da Joe Biden) o ritornare ad eleggere Trump, già presidente del paese dal 2017 al 2021.
Chi è in vantaggio? Per comprenderlo servono i grandi elettori
Attualmente, secondo il sondaggio del 2 novembre, con il 48,45% Harris è in vantaggio rispetto al 46,16% di Trump. Questo significa che vincerà la candidata democratica? Non è così semplice. Il sistema elettorale statunitense, infatti, si basa sul meccanismo noto come dei “grandi elettori” che rende la partita più articolata. In termini pratici ciò significa che ognuno dei cinquanta stati degli states elegge un numero fisso di rappresentanti – i grandi elettori per l’appunto – che andranno a loro volta a votare per eleggere il Presidente USA. Il numero di elettori per stato è proporzionale alla popolazione: uno stato densamente popolato eleggerà un numero maggiore di elettori mentre stati con pochi abitanti ne eleggeranno molti di meno: la Florida, con il maggior numero di abitanti ha diritto a 54 elettori, l’Alaska solo 3. Di questi 2 sono garantiti, andando a formare il senato statunitense (2 per ogni stato a prescindere dalla popolazione). In tutto i grandi elettori sono 583, pertanto, considerando il sistema a maggioranza assoluta, chi arriva a 270 candidati vince l’elezione.
Swinging States: ecco chi deciderà il vincitore
La distribuzione del voto ripete tendenzialmente degli schemi prevedibili. Ci sono gli stati costieri, molto piccoli ma densamente popolati, che sono saldamente democratici, mentre quelli centrali, più grandi ma meno popolosi, sono tradizionalmente repubblicani. A fare la partita sono quegli stati che oscillano fra l’uno e l’altro candidato. In queste elezioni sono sette, nominalmente: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. Di seguito una breve analisi stato per stato.
In Arizona, la crescente diversificazione della popolazione e le preoccupazioni legate all’immigrazione saranno cruciali, considerando che lo stato confina con il Messico e che la sua popolazione è in costante aumento. Per la prima volta dagli anni ’90 i democratici hanno vinto le elezioni in questo stato e sarà proprio il sostegno degli elettori ispanici e nativi che risolverà la partita.
La Georgia con un terzo della popolazione afroamericana è stato un tassello importante per il conseguimento della vittoria dei democratici nelle precedenti elezioni. Si registra tuttavia malcontento per l’amministrazione uscente, tuttavia Harris spera di poter riaccendere l’entusiasmo democratico e di portare a casa gli elettori di questo stato.
In Michigan, storica roccaforte democratica lo scenario è complicato e presenta importanti margini per la vittoria repubblicana. Già nel 2016 infatti Trump aveva vinto facendo appello alla classe bianca operaia del Paese– essendo il Michigan centro nevralgico dell’industria automobilistica americana. Sebbene nel 2020 lo stato sia ritornato sui propri passi favorendo Biden, ad oggi l’insoddisfazione per l’amministrazione democratica è alta soprattutto a causa del sostegno statunitense a Israele. Infatti lo stato con la più alta percentuale di popolazione arabo-americana è diventato il fulcro nevralgico delle proteste contro la politica di supporto a Israele, registrando nelle primarie democratiche, una cospicua astensione dal voto.
Il Nevada, con solo sei grandi elettori nelle scorse elezioni ha visto prevalere i democratici. Ad oggi tuttavia, nonostante l’avvicendamento di Harris come candidata abbia ridotto il gap, le preoccupazioni su costo della vita, inflazione e immigrazione sembrano comunque far resistere Trump come favorito.
Il North Carolina ha quasi sempre sostenuto i candidati repubblicani (tranne per Obama 2008), tuttavia il cambiamento demografico repentino e le conseguenze dell’uragano Helene (che potrebbero influenzare l’affluenza) rendono il risultato elettorale incerto.
La Pennsylvania è senza dubbio il punto focale di queste elezioni. I 19 grandi elettori infatti potrebbero configurare un vantaggio decisivo per l’uno o per l’altro candidato. Va considerato che dal 1992, Trump è stato l’unico repubblicano a conquistare la Pennsylvania. L’economia rappresenta una questione centrale per i residenti, che hanno sentito pesantemente l’impatto dell’inflazione, con i prezzi dei generi alimentari aumentati più rapidamente qui rispetto ad altre aree. Trump ha sottolineato questi aspetti, criticando le politiche di Biden e Harris. Il successo dei democratici dipenderà dalla capacità di mobilitare gli elettori nelle grandi città come Pittsburgh e Philadelphia, cercando nel contempo di limitare le perdite nelle zone rurali e conservatrici.
Infine, il Wisconsin rimane altamente competitivo e imprevedibile. Infatti di solito il margine di vittoria si decide con percentuali di voto al di sotto dell’1%. Per tale ragione è qualsiasi gruppi di elettori a poter fare la differenza.
Criticità del sistema elettorale statunitense
Va considerato che nella maggior parte degli stati vige il sistema winner take all. Questo significa che tutti i grandi elettori vengono assegnati all’uno o all’altro partito se questo raggiunge la maggioranza assoluta. Solo in due Stati, Nebraska e Maine, il meccanismo è misto maggioritario/proporzionale e il candidato che vince non guadagna tutti i grandi elettori.
Questo sistema fa sì che, come accaduto ad esempio con Trump 2016, è possibile che il candidato che ottiene meno voti totali vinca le elezioni ottenendo un numero maggiore di voti dai grandi elettori.
Per concludere, è evidente che il sistema elettorale statunitense presenta, come ogni sistema elettorale, determinate criticità. Sarà, tuttavia, proprio nelle crepe lasciate da queste che si deciderà il futuro degli states per i prossimi quattro anni: democratici o repubblicani, Harris o Trump, blu o rosso.
Giuseppe Alessio