Si sente spesso dire che lo stato di salute di un Paese si può valutare dal parallelo stato di salute del sistema carcerario del Paese stesso. In Italia, e nella fattispecie nel Meridione, la situazione delle carceri è vergognosa.
Nel carcere di Poggioreale, a Napoli, già mesi fa un rapporto dell’Asl aveva denunciato una situazione di degrado igienico-sanitario soprattutto per quel che riguarda la situazione della cucina della casa circondariale.
Una segnalazione più recente (un paio di settimane fa) mette in luce un quadro desolante a dir poco: a Poggioreale infatti, una singola cucina sfama 1800 detenuti, quasi cinque volte il massimo consentito (400 detenuti al massimo per ogni cucina. A Poggioreale servirebbe in pratica una cucina per ogni padiglione). Inoltre le cucine, che di norma dovrebbero essere gestite da personale specializzato, sono qui affidate alle “cure” del semplice personale di sorveglianza e dei detenuti stessi.
Inoltre la mancanza di recipienti termici e carrelli portavivande per il trasporto del cibo nei padiglioni fa si che i detenuti spesso preferiscano preparare pranzo e cena autonomamente in cella, utilizzando i pericolosi fornetti a gas (che vengono utilizzati dai tossicodipendenti anche per inalare il gas stesso per “sballarsi”). E ancora, per il dubbio gusto, tonnellate di cibo vengono cucinate per essere immediatamente buttate. Gli unici a consumare regolarmente la “poltiglia” cucinata in carcere sono gli immigrati e gli indigenti (e questo non fa che aumentare la disparità sociale).
È praticamente da sempre che si ignora lo stato di salute del sistema carcerario nel nostro Paese, dove praticamente tutte le case circondariali ordinarie (soprattutto al meridione) sono perennemente in emergenza sovraffollamento. Il Rapporto Antigone evidenzia una situazione di sovraffollamento delle carceri nazionali del 108%. E conseguentemente è anche il personale penitenziario ad essere in sovraffollamento, con più di 46.000 unità. Inoltre nelle carceri del nostro paese non si sa mai cosa succede per davvero (basti pensare al caso di Stefano Cucchi, o Federico Perna, massacrato di botte proprio a Poggioreale). Ma del resto è lo stesso Paese che per tanti anni ha consentito che esistesse a Poggioreale una “Cella Zero” dove i detenuti considerati “problematici” venivano torturati e pestati a sangue sadicamente, giorno dopo giorno.
Per quanto riguarda i fondi destinati alle carceri: l’83% delle uscite serve a pagare il personale penitenziario e solo 11 euro al giorno vengono utilizzati per sostenere economicamente il mantenimento, il sostentamento e la rieducazione (quale?) dei detenuti.
Altissimo è anche il numero dei suicidi (44 solo nel 2014) dei tentati suicidi (933) e dei comportamenti autolesionisti (più di 7000). Altra piaga del nostro sistema carcerario è la mancata integrazione. I detenuti stranieri costituiscono infatti il 32% della nostra popolazione carceraria (in media sono condannati comunque per reati minori rispetto agli italiani) e diventano spesso vittime di violenze, delle quali talvolta i soggetti sono gli stessi agenti di Polizia dei Penitenziari.
Ma molto spesso, quasi sempre, queste cose che accadono nel “mondo di dentro” non vengono denunciate al “mondo di fuori”.
Il carcere, qui da noi, è semplicemente visto come una punizione. Mentre oltre ad essere una severa punizione per il reato commesso dovrebbe essere anche un luogo di ricostruzione personale, educazione alla legalità, ai diritti, alla civiltà; dovrebbe essere anche un luogo che prepara chi vi è dentro al reinserimento nella società (sia dal punto di vista sociale che lavorativo). Ciò spesso non accade e gli ex detenuti si ritrovano nel vortice della delinquenza e poi, come un circolo vizioso, di nuovo in carcere.
Le case circondariali non accolgono infatti cittadini indisciplinati per poi restituirli “retti” alla società, ma non sono altro che una palestra d’illegalità e degrado. Diffidate dalle fiction nostrane.
Domenico Vitale