Sono passati ormai più di tre anni dalla scomparsa di Giulio Regeni. Il giovane ricercatore, partito dall’Italia con destinazione Egitto, fu ritrovato morto nella periferia del Cairo agli inizi di febbraio 2016, dopo la scomparsa avvenuta il 25 gennaio. Dopo più di tre anni, la verità su Regeni resta ancora coperta da un velo spessissimo: da parte di politici e diplomatici ancora non ci sono stati passi in avanti rispetto alla volontà di fare giustizia, promessa solo a parole.
Nell’aprile del 2019 è iniziata una discussione sull’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. Questa, composta da 20 deputati, avrebbe dovuto indagare per diciotto mesi circa le responsabilità relative alla morte (ai moventi e alle circostanze dietro l’assassinio) di Regeni. Il 30 aprile è stata approvata la costituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta (con gli stessi poteri conferiti alla magistratura) sulla morte di Regeni: è stato fissato un limite di 12 mesi per concludere l’indagine.
Perché le indagini sull’uccisione di Regeni sono a un punto morto
Dopo pochi giorni, il 5 maggio, un funzionario dell’intelligence egiziana decide di raccontare ad avvocati e consulenti della famiglia Regeni di aver preso parte al sequestro di Giulio e tutti i dettagli dell’operazione a cui partecipò in quei giorni del 2016. Nei mesi successivi nessuna reale scoperta è stata fatta. I depistaggi da parte delle autorità egiziane sono stati moltissimi. A maggio, il quotidiano la Repubblica ha pubblicato una lettera indirizzata al presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi da parte di Claudio e Paola Regeni, i genitori di Giulio:
«Lei, lo apprendiamo dai media, ha un potere smisurato. Risulta, quindi, difficile da credere che chi ha sequestrato, torturato, ucciso nostro figlio Giulio, chi ha mentito, gettato fango sulla sua persona, posto in essere innumerevoli depistaggi, organizzato l’uccisione di cinque innocenti ai quali è stata attribuita la responsabilità dell’omicidio di nostro figlio, tutte queste persone abbiano agito a Sua insaputa o contro la sua volontà. Non possiamo più accontentarci delle sue condoglianze né delle sue promesse mancate. Generale, Lei sa bene che la forza di un uomo e ancor più di un capo dello Stato non può basarsi sulla paura ma sul rispetto. E non si può pretendere rispetto se si viene meno ad una promessa fatta a dei genitori ed a un intero Paese orfano di uno dei suoi figli. Giulio, lo sa bene anche lei, era un portatore di pace, Giulio amava il popolo egiziano: ha imparato la vostra lingua e ha fatto diversi soggiorni al Cairo cercando di vivere come un egiziano. Invece, è morto come, purtroppo, muoiono tanti egiziani. […] consegni i cinque indagati alla giustizia italiana, permetta ai nostri procuratori di interrogarli, dimostri al mondo che la osserva che lei non ha nulla da nascondere».
Lo scorso agosto, durante il G7 di Biarritz, il presidente egiziano Al Sisi ha rassicurato Giuseppe Conte, ribadendo “l’impegno per scoprire le circostanze del caso e arrivare ai criminali e consegnarli alla giustizia” (come è possibile leggere dal sito di Amnesty International). Il Premier italiano, allo stesso modo, ha dichiarato di voler raggiungere effettivi risultati rispetto alle indagini sul caso di Giulio Regeni, senza venir meno a quanto promesso fino a quel momento. Dunque sembra che chi dovrebbe far luce sull’accaduto non è stato, e non è, in grado di portare risultati reali.
Giulio Regeni: un caso tra tanti di violazione dei diritti umani
Da due anni l’ambasciatore italiano Cantini al Cairo ha fatto ritorno dall’Egitto. Indagini e azioni diplomatiche non sono state in grado di fare progressi nella scoperta dei colpevoli della sparizione, della tortura e dell’uccisione del giovane ricercatore di Cambridge. Ricordiamo che Giulio Regeni si trovava al Cairo per una ricerca sul ruolo dei sindacati nella società egiziana, un tema politico molto delicato per il Paese.
Infatti, l’Egitto è “famoso” per la continua violazione dei diritti umani: dal 2017 la partecipazione a scioperi e proteste può causare 15 anni di carcere per lavoratori e sindacalisti, che dagli anni Cinquanta significano per l’Egitto mutamenti sociali. Con Al Sisi, i sindacalisti sono diventati il primo nemico pubblico e ogni occasione è buona per violare i loro diritti. In Egitto la situazione è drammatica: migliaia di sparizioni forzate e condanne a morte, crimini commessi dalla polizia sulla popolazione civile, casi di censura dei media, tortura.
Forse i movimenti e i cambiamenti di governo avuti nell’ultimo mese possono far sperare nell’ottenimento di un qualche risultato. Se, infatti, da parte del precedente governo c’era la totale chiusura del ministro Salvini, che non voleva anteporre Regeni ai rapporti fra Italia e Egitto, ora il governo giallorosso potrebbe significare un cambio di rotta.
Se quando ne ha avuto la possibilità, Salvini non ha nemmeno provato a mettere al primo posto un italiano (come gli piace millantare), anteponendo alla verità sul caso Regeni gli interessi commerciali fra Italia e Egitto, forse ora qualcosa potrebbe cambiare. Magari il ministro Di Maio, oltre ad attaccare gli avversari politici in merito ai rapporti con l’Egitto e alla gestione del caso Regeni, potrebbe decidere di agire, considerato il ruolo che ricopre, insieme ai colleghi del PD.
I genitori di Giulio Regeni, associazioni, cittadini, chiedono ancora verità e giustizia, nella speranza che entro il prossimo 25 gennaio qualcosa finalmente si possa muovere.
Federica Ruggiero