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Fonte: editorpress

Sebbene secondo le rilevazioni di AGCOM e uno studio diffuso da OBC Transeuropa le ultime elezioni europee siano state meno influenzate dalle fake news, il fenomeno resta preoccupante. L’ONG Avaaz ha individuato 500 pagine e gruppi sospetti collegati all’estrema destra europea, network che hanno generato più di mezzo miliardo di interazioni nei tre mesi precedenti alle elezioni europee. Per contrastare efficacemente le fake news, è necessario che l’Unione Europea assuma una posizione forte nei confronti delle grandi piattaforme social.

Diminuiscono le fake news ma i parametri sono troppo restrittivi

È ormai dal 2016, l’anno di Brexit, che le ricorrenze elettorali sono accompagnate da preoccupazioni per le campagne di disinformazione. Ciononostante, come detto, secondo AGCOM e il report diffuso da OBC transeuropa le ultime elezioni europee sono state meno interessate dal fenomeno fake news, che sono in diminuzione rispetto al passato. Se questo sia dovuto al fatto che le elezioni europee siano meno “competitive” di altri appuntamenti elettorali non è dato saperlo dalle statistiche. Ciò che invece è interessante capire è perché le fake news sono in calo e, soprattutto, se sia davvero così.

AGCOM rileva in Italia una diminuzione di fake news postate in rete e calcola attorno all’1% i contenuti falsi direttamente riferiti alle elezioni europee. Il report diffuso da OBC Transeuropa, che considera altri sei Paesi europei, evidenzia come gli utenti, sia su Facebook che su Twitter, siano stati più propensi a interagire (con like, condivisioni e commenti) con contenuti provenienti da fonti verificate. Tuttavia, su Facebook fake news ben progettate sono riuscite a ottenere fino a quattro volte più interazioni delle più popolari notizie verificate.

Secondo i parametri scelti, che considerano “singole fonti media”, il fenomeno appare in diminuzione. Ciononostante questi parametri non considerano tutti quei contenuti spesso virali generati e diffusi dagli utenti stessi. Di conseguenza dire che il fenomeno è in diminuzione non è falso, ma i parametri utilizzati per elaborare i risultati non considerano un enorme “sommerso” social che raggruppa milioni di follower e genera mezzo miliardo di interazioni. Quindi, per inquadrare meglio il tema delle fake news (che non si esautora nella competizione politica) è interessante dare un occhiata al report di Avaaz.

L’onda nera su Facebook pre elezioni europee

L’ONG Avaaz ha condotto un’indagine simile a quella diffusa da OBC Transeuropa, ma invece di concentrarsi sui siti d’informazione si è focalizzata su quelle reti social di cui fanno parte pagine, gruppi e utenti. I risultati sono sorprendenti e preoccupanti, tanto che Facebook è stata costretta a chiudere 77 fra pagine e gruppi spazzatura i quali hanno generato ben 533 milioni di interazioni nei tre mesi precedenti alle elezioni europee. Nel report intitolato Alt-right network of deception viene evidenziato come sia l’estrema destra europea a trarre vantaggio da queste pagine travianti, le quali spesso se non sempre condividono fake news a sfondo identitario, xenofobo e islamofobo.

Le tattiche utilizzate, seppur con delle somiglianze, variano da paese a paese. In Italia le pagine più attive, ora chiuse da Facebook, sono state “Lega Salvini premier santa Teresa di Riva” e “Vogliamo il Movimento 5 Stelle al governo”. Queste pagine raccoglievano più follower di quante ne raccogliessero assieme le due pagine ufficiali dei due partiti e hanno generato un totale di 2,44 milioni di interazioni negli scorsi tre mesi. Ciò che veniva pubblicato, come questo video che è in realtà il set di un film, non rientra certamente nei parametri degli altri studi, ma sortisce lo stesso effetto sulle menti e, soprattutto, sui cuori (e le pance) degli utenti più ingenui.

Ciò che Avaaz fa emergere, portando alla luce mezzo miliardo di interazioni con contenuti fake e in violazione delle policy di Facebook, non riguarda soltanto la politica ma anche il comportamento dei grandi media provider. La destra estrema, con i suoi messaggi d’odio preconfezionati ad arte per generare rabbia, indignazione e sfiducia nelle istituzioni, per queste elezioni europee si è servita in maniera efficace degli strumenti messi a disposizione dai grandi media provider per generare profitto attraverso i click.

Dunque, per quanto le fake news siano state un’arma nelle mani dell’estrema destra europea, per comprendere meglio il fenomeno e provare ad arginarlo bisogna analizzare le modalità attraverso cui viene generato profitto sul web. Pertanto è utile considerare la ricerca condotta da Tommaso Venturini (From fake to junk news, the data politics of online virality), in cui si studiano le modalità di diffusione di contenuti falsi sulle piattaforme media e social, in particolare Facebook e Google.

L’economia delle bugie: come si guadagna online

Innanzitutto, il termine “fake news” è sostituito da “junk news” (notizie spazzatura). In questo modo l’attenzione viene spostata dalla natura del contenuto (vero o falso) alla sua capacità di diventare virale. In sostanza, ciò che conta è la capacità di un contenuto di generare attenzione, anche per pochi secondi, al fine di indurre gli utenti a cliccare e generare profitto per la compagnia che ha diffuso la notizia. Questo è essenzialmente il modo in cui si guadagna online, non offrendo servizi ma generando contenuti capaci di attirare click (clickbait economy). Ogni click ha un valore monetario che viene diviso fra la pagina che ha generato il contenuto e il provider che gli ha venduto lo spazio pubblicitario: Facebook o Google.

Ne consegue che per molti “creatori” di junk news il gioco non sia quello di inventarsi storie per scatenare effetti politici, ma piuttosto quello di cavalcare l’onda generata dall’interesse politico attorno a determinate tematiche forti, come immigrazione, islamofobia e cronaca nera.

In questo senso anche i “network of deception” individuati da Avaaz prima delle elezioni europee potrebbero non avere un interesse politico ma uno economico legato alla diffusione di contenuti capaci di generare click e dunque un profitto. Un esempio in questo senso è quello dei ragazzini macedoni che, nel 2016, in piena campagna elettorale, spammavano contenuti pro-Trump su Facebook: non lo facevano per sostenere Trump ma per fare soldi, visto che al tempo i contenuti più di successo erano quelli sensazionalistici e spesso falsi che riguardavano l’attuale presidente degli Stati Uniti.

Ciò che emerge, inoltre, è la natura dei contenuti più virali: questi sono spesso fondati su “fantasie collettive, humor, mistero, parodia, controversie e rumors”; virali sono anche quei contenuti “ultra-schierati” , come quelli pubblicati dall’estrema destra prima di queste elezioni europee.

Si spiega dunque il motivo per cui l’estrema destra possa trarre vantaggio dalle junk news: le loro narrazioni sono spesso esagerate, fondate su storie popolari, “ultra-schierate” e di conseguenza sono perfette per essere diffuse a livello virale sul web. Ma questo è solo un effetto, seppur dannoso, di un fenomeno che riguarda il modo in cui Facebook e Google traggono profitto dai contenuti pubblicati sulle loro piattaforme e che invece, se in violazione delle policy, dovrebbero essere bannati.

Infine, ciò che preoccupa considerando il report di Avaaz, è come il dibattito pubblico possa facilmente essere distorto, non solo a fini politici ma, soprattutto, per fini economici: traendo profitto da ogni click. Di conseguenza, appelli alla verità e al “fact-checking” mancano clamorosamente il punto: ciò che va compreso a fondo è la dinamica attraverso cui, per una serie di fattori che si rafforzano vicendevolmente, un contenuto diventi virale.

Una volta compreso il meccanismo, l’Unione Europea (in particolare la commissione) dovrebbe imporre ai grandi social media provider restrizioni e soprattutto responsabilità legali per la qualità dei contenuti diffusi su queste piattaforme. Bisogna agire in fretta, anche se non è facile tracciare il campo in tema di social media.

L’influenza che Google e Facebook hanno sulle nostre vite è legata all’immaterialità dell’informazione, ciononostante essendo loro i principali canali di diffusione di junk news è inevitabile che ne debbano rispondere legalmente, come chiunque altro.

Davide Leoni

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