Che i rapporti tra Italia ed Europa non siano dei migliori, soprattutto negli ultimi tempi, è sotto gli occhi di tutti. E anche l’ultima frase del presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker non ha certamente contribuito ad alleggerire la tensione.
Ma quello di Juncker non è il primo intervento “discutibile” che arriva dall’Europa nei confronti del nostro paese.
In principio era il verbo. E il verbo era “mi consenta”.
Il primo italiano ad inaugurare una storia di screzi con l’Unione Europea, nonchè quello che rimane forse tutt’ora il più noto, è stato naturalmente Silvio Berlusconi.
Storico, infatti, è il litigio che ebbe l’allora Presidente del Consiglio con Martin Schulz, futuro presidente dell’SPD e allora semplice eurodeputato per il Partito Socialista Europeo. Schulz attaccò duramente Berlusconi sul conflitto d’interessi, sui suoi guai con la giustizia e sulla condotta “poco ortodossa” di Umberto Bossi, allora ministro del suo governo.
E Berlusconi gli rispose con una frase passata agli annali: «Signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti: la suggerirò per il ruolo di kapò. Lei è perfetto!», suscitando l’indignazione di tutto il Parlamento Europeo. Seguirono poi vani tentativi di risolvere la situazione, affermando che quanto detto era detto “con ironia”, e vari attacchi politici a Schulz e ai parlamentari europei (il discorso dei “Turisti della democrazia”, dal quale prese perfino ispirazione il gruppo Lo Stato Sociale per il titolo del loro primo album!).
Un altro episodio degno di nota riguarda un altro esponente del centrodestra italiano, ovvero il neoministro degli Interni Matteo Salvini.
Il fatto risale al 2014, e l’occasione è il dibattito in plenaria sul rapporto sulla direttiva appalti pubblici. Le critiche di Salvini al rapporto scatenarono l’ira del deputato belga Marc Tarabella, che attaccò duramente il segretario leghista: «Collega Salvini, è una vergogna sentirla parlare», «Lei è l’unico che non abbiamo mai visto in riunione», «Come spiega ai suoi elettori che lei è un fannullone in questo Parlamento? È solo in tv, mai in aula» per citare solo alcune delle frecciate rivolte a Salvini.
Che, come Berlusconi, improvvisò una difesa molto poco convincente.
Arriviamo quindi ai casi più recenti, quelli di Oettinger e Juncker.
Prima, nel bel mezzo del caos successivo al veto di Mattarella su Savona, era stato il tedesco Günther Oettinger a provocare l’Italia. Il 29 maggio il Commissario europeo al bilancio aveva dichiarato «I mercati insegneranno agli italiani a votare nella maniera giusta», scatenando ovviamente le reazioni furiose dei leader di M5S e Lega che in quel momento provavano tra mille difficoltà a comporre un governo.
E ci ha pensato poi Jean-Claude Juncker ad alimentare il fuoco, affermando che gli italiani «Dovrebbero prendersi cura delle regioni povere d’Italia, senza scaricare le proprie colpe sull’Europa». Una voce che si unisce a quelle dell’Economist e del Der Spiegel, giornali che nelle ultime settimane avevano pubblicato copertine piuttosto provocatorie nei confronti dell’Italia e del suo nuovo governo.
Ma perché quest’accanimento dell’Europa nei confronti dell’Italia? Stereotipo o amara verità?
Da parte dell’Europa vi è indubbiamente un’incapacità nel leggere la realtà politica italiana, positiva o negativa essa sia. E questo deriva da un’impronta culturale totalmente diversa.
L’Europa di stampo liberale e liberista, di cui si fa portavoce l’UE, fatica a fare breccia nei cuori di culture più collettiviste e comunitariste, come appunto l’Italia.
Il nostro paese nel secolo scorso ha vissuto il ventennio fascista, esempio lampante di annullamento del singolo nello Stato; ed ha conosciuto il boom economico del dopoguerra in gran parte grazie alla messa in piedi di un’imponente macchina burocratica statale, che con il passare del tempo ha provocato danni enormi al bilancio dello Stato fino all’attuale 132% di rapporto debito/PIL. E tuttora i partiti che si definiscono a vario titolo “liberali”, ovvero PD e Forza Italia, sono quelli che hanno ottenuto i risultati peggiori alle elezioni dello scorso 4 marzo.
A sostegno di questa lettura, altri paesi che hanno avuto non pochi screzi con l’UE sono quelli del blocco di Visegrad, tutti stati ex sovietici. In Europa Occidentale a dover fare i conti con la più massiccia ondata “populista” oltre all’Italia c’è la Francia, anch’essa al centro di vicende analoghe all’Italia per quanto riguarda la dittatura (il periodo di Vichy) e le lotte sociali del dopoguerra. E in Germania, la maggior parte dei voti per il partito di estrema destra AfD proviene dalle regioni dell’ex Germania Est.
Certo, non può essere questa l’unica ragione delle incomprensioni tra Europa ed Italia. Tanto più che non riesce a spiegare con precisione perché in Francia l’impatto dei populisti sia limitato al 21% della Le Pen mentre in Italia ottenga consensi superiori al 50% dei votanti, se contiamo i voti di M5S e Lega. Ma di certo è un buon punto di partenza per capire i motivi di scontro tra le istituzioni europee e quelle italiane, e più in generale i problemi che sembrano affliggere in maniera drammatica l’Unione Europea.
Non è altresì compito di chi scrive stabilire una gerarchia tra i due modelli: quello individualista, che lascia all’individuo completa libertà, con annessa libertà di fallire senza possibilità di essere soccorso, e quello collettivista, che si basa su una maggiore solidarietà tra i singoli ma che rischia spesso di sfociare nell’omologazione e nell’annullamento dell’individuo.
Quello che però resta evidente è che un’Unione Europea che attinge a piene mani da uno di questi due esempi, ignorando o addirittura — e quello di Juncker è solo l’ultimo caso —sbeffeggiando e insultando l’altro, è un’Unione Europea che non tiene conto dei diversi bagagli culturali che la compongono. Dando così spazio al sorgere di quei movimenti nazionalisti ed identitari che la stanno lentamente erodendo dall’interno.
La prima battaglia da affrontare sarebbe quella culturale, ma richiede tempo e una forza che, al momento, l’Europa non ha: come diffondere una cultura europea senza una stabilità economica e sociale? Eppure, compiere i primi passi in questo senso in un momento come questo sarebbe di vitale importanza per dare un’idea di unità e coesione.
La soluzione politica non può, invece, essere un’Europa a due velocità. Bisogna lavorare per un’Europa a tante velocità quanti sono gli stati che la compongono: imporre ad un paese un modello di sviluppo civile e economico già preconfezionato da altri è un errore, sotto tutti i punti di vista. Ne abbiamo avuto, ormai possiamo dirlo, piena coscienza in Medio Oriente.
Commettere lo stesso sbaglio nel cuore dell’Occidente sarebbe un errore sanguinoso.
Simone Martuscelli