Nonostante siano passati sei anni dallo scoppio della guerra civile siriana, essa continua a lacerare il paese e a produrre orde di profughi in cerca di un luogo sicuro in cui vivere. Milioni di persone hanno cercato e cercano tuttora rifugio nei paesi confinanti – Libano, Giordania, Turchia e Iraq – e più in generale in un qualsiasi altro posto che possa ospitarli e fornire loro assistenza. Tra questi, la Turchia è attualmente il paese che dal 2011 ad oggi ha ospitato il maggior numero di rifugiati siriani. Ma quali sono le condizioni in cui vertono questi ultimi?

Secondo i dati forniti dall’UNHCR – l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati –, attualmente i rifugiati siriani registrati risultano essere circa cinque milioni. Tra questi, 2 milioni si troverebbero rispettivamente in Libano, Egitto, Iraq e Giordania, mentre solo in Turchia sarebbero pervenute, alle autorità del commissariato, le registrazioni di quasi 3 milioni di rifugiati.

In Europa, invece, la percentuale dei profughi che scappano dalla Siria e che si ferma nel vecchio continente è più esigua. In tutta Europa, secondo i dati dell’UNHCR risalenti al 2016, sarebbero 972.012 le richieste d’asilo e i principali paesi interessati sarebbero: Germania e Serbia con il 61% e a seguire Svizzera, Ungheria, Austria, Danimarca e Olanda con il 27% dei richiedenti asilo. Cifre, queste, estremamente lontane rispetto a quelle che i paesi confinanti con la Siria sono tenuti ad affrontare.

Sempre secondo questi dati, in Medio Oriente, quasi 500.000 persone, vivono in campi appositamente allestiti e le condizioni all’interno di questi ultimi risultano essere, quasi sempre, preoccupanti. Le risorse primarie scarseggiano e vivere in quelle strutture diventa una vera e propria lotta. Secondo un report di Amnesty International, in Giordania i rifugiati faticherebbero ad accedere all’ assistenza sanitaria. A tal proposito Sherif Elsayed-Ali – direttore del programma Diritti dei rifugiati e dei migranti per Amnesty International – ha asserito: «La maggior parte dei rifugiati siriani in Giordania vive nei campi in condizioni di estrema povertà» e ha aggiunto che molti di questi arrivano al confine feriti e difficilmente riescono ad ottenere la giusta assistenza.

Anche in Libano la gestione dei rifugiati risulta essere molto complicata. Secondo la UN refugee agency circa il 70% vive al di sotto della soglia di povertà, inoltre, la stragrande maggioranza vive abbandonata a se stessa. In Turchia, invece, “la maggior parte dei 3 milioni di rifugiati vive nei centri urbani e solo 260.000 alloggiano in 21 campi profughi”. Qui, grazie anche ai 3 miliardi di euro stanziati l’anno scorso dall’Unione Europea al governo di Ankara, l’emergenza rifugiati – dal punto di vista delle risorse finanziare messe a disposizione – risulta essere più sotto controllo.

È evidente, dunque, che ad oggi l’Europa, in termini di accoglienza di rifugiati siriani, gioca un ruolo solo marginale. L’unico paese con il quale i 28 paesi leader dell’Unione hanno stipulato, dalla fine del 2015 ad oggi, una serie di accordi è la Turchia. Come accennato in apertura, la Turchia è l’unico paese che ad oggi ospita circa 3 milioni di rifugiati siriani ed è, inoltre, il principale paese da cui partono ingenti flussi migratori irregolari verso l’Europa. Per impedire tutto ciò e per aiutare il governo turco a far fronte all’emergenza rifugiati, l’UE ha promosso l’erogazione di aiuti economici 3 miliardi finora, e si è impegnata a portare avanti un programma di ricollocazione e reinsediamento dei rifugiati siriani.

Il programma di azione denominato UE-Turchia ha sicuramente posto delle basi per una maggiore partecipazione dell’Europa nell’ emergenza rifugiati, ma se da una parte tale programma ha diminuito gli sbarchi sulla penisola greca e gli attraversamenti irregolari, dall’altra la chiusura della rotta balcanica ha portato la Grecia a dover bloccare sul proprio territorio più di 60.000 persone, in condizioni tragiche. Gli sbarchi saranno anche diminuiti, ma ci sono migliaia di persone in attesa di una sistemazione, di una potenziale ricollocazione nei paesi europei o di un rimpatrio in Turchia (per tutti i migranti irregolari che siano arrivati in Grecia a decorrere dal 20 marzo 2016).

Ad oggi questi provvedimenti hanno prodotto dei risultati “insufficienti”. Come sottolinea il New York Times, «in Grecia migliaia di persone in fuga dalla guerra vivono in condizioni squallide, in campi e rifugi di fortuna, terrorizzati dall’incertezza del futuro». Inoltre, il programma di ricollocamento dei rifugiati siriani nei paesi europei continua a non produrre gli effetti sperati, a causa soprattutto del ritorno in alcuni paesi d’Europa di partiti di estrema destra che cavalcano il malcontento dei cittadini promuovendo politiche anti-immigrazione e ideologie xenofobe.

Di fronte a queste difficoltà, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha esortato l’UE a non schivare il problema rifugiati. «C’è ancora molto da fare, estendere i piani di reinsediamento e soprattutto mantenere le promesse già fatte», ha sottolineato Grandi in un comunicato rilasciato dalla UN refugee agency e ancora: «Abbiamo bisogno di accelerare gli sforzi iniziati nel 2017 e continuare ad impegnarci in futuro».

Grandi pone anche l’accento su una questione importante, quella di non lasciare soli gli altri paesi confinanti con la Siria. Gestire flussi migratori di questa portata è un lavoro molto complesso per ogni paese, e lo è ancora di più per quei paesi che hanno al proprio interno condizioni politiche ed economiche instabili. L’Europa ha, dunque, il compito e la necessità di intervenire anche in questi frangenti.

Giuseppina Catone

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