Tre anni, questo il periodo di tempo di cui ha avuto bisogno il Movimento 5 Stelle per dimostrare ai propri elettori quanto sia difficile in politica passare dalle parole ai fatti, dalle grida sui tetti a manovre politiche concrete, dai Vaffa-day ai numeri dell’economia, e soprattutto quanto sia complicato tenere insieme il consenso di un movimento “liquido”. La parabola del Movimento lo ha visto toccare vette altissime di suffragio alle ultime elezioni legislative, dove da solo è riuscito ad ottenere più del 32% delle preferenze, spiccando come primo partito anche sulla Lega di Matteo Salvini e il suo 17%.
Numeri notevoli che hanno fatto credere a molti che una politica finalmente diversa fosse possibile. Basta inciuci e alchimie politicistiche, stop alle opere pubbliche che rappresentano un grave pericolo per la salute dell’uomo e per l’ambiente, referendum per dirimere i nodi politici più controversi, anche se si trattasse di uscire dall’Euro. La vittoria schiacciante alle elezioni del marzo 2018 ha spianato la strada al Movimento 5 Stelle senza leader, dove uno vale uno e le decisioni non sono prese da burocrati seduti a Bruxelles o nelle segreterie dei partiti, ma direttamente da noi, il popolo. O almeno questo era ciò che sosteneva il Movimento, questi i principi sui quali è stato votato da cittadini e cittadine, che hanno consentito ai cosiddetti grillini di entrare finalmente nel Palazzo, queste, le grandi aspettative dei suoi elettori. Sono bastati tre anni per passare dalle stelle alle stalle.
Fin da subito è sembrato che il desiderio del Movimento 5 Stelle di sconfessare determinate dinamiche politiche fosse stato rimpiazzato dalla volontà (o bramosia) di parteciparvi o di crearne di nuove, indipendentemente da ciò che questo avrebbe comportato. Poco importava se solo l’anno prima delle elezioni (2017), il portavoce Beppe Grillo definiva Salvini come «un traditore» che «fa più schifo di Renzi e Berlusconi messi insieme». Alla fine l’importante non era non allearsi con altre forze politiche ed essere tramite diretto dei cittadini, ma non allearsi con il PD, perché, come dichiarerà Grillo nel 2019 sempre sul Blog delle Stelle, «Il MoVimento non si siederà mai al tavolo con Renzi e/o Boschi». Fa sorridere pensare che nel giro di due anni i grillini abbiano, non solo rinunciato al principio fondante del “non inciuciarsi”, ma che lo abbiano fatto prima con uno, e poi, non contenti, con tutti gli altri. Non sembrava possibile, ma l’apoteosi è stata raggiunta lo scorso febbraio, quando, in neanche tre giorni, rappresentanti del M5S sono riusciti a passare dal «non chiedeteci di votare Draghi» al «dobbiamo essere maturi» in riferimento al nuovo scenario politico che si stava prospettando in seguito alla crisi di governo apertasi con la fuoriuscita dalla maggioranza di Italia Viva. Forse è vero che chi disprezza compra, visto che ieri Salvini faceva più schifo di Renzi e Berlusconi insieme, ed oggi il nuovo Governo è formato proprio da Movimento 5 Stelle, esponenti di Italia Viva (Renzi), Partito Democratico e ultimo, ma non meno importante, Forza Italia (Berlusconi).
Non si tratta certo di una novità: lo scenario politico italiano, purtroppo, si è spesso contraddistinto da partiti che una volta in Parlamento agiscono non esattamente in linea con i rispettivi programmi elettorali. Il problema del Movimento 5 Stelle è l’essersi imposto nello stesso scenario come forza politica virtuosa, onesta e trasparente che a certi compromessi non si sarebbe mai abbassata, soprattutto su punti ritenuti cruciali come bloccare il gasdotto che dall’Albania arriverebbe in Puglia (Tap), interrompere i lavori per l’alta velocità Torino-Lione (Tav) e chiudere l’Ilva di Taranto per riconvertirla ecologicamente.
Mentre oggi Grillo sponsorizza il suo Movimento 5 Stelle come l’unico partito che ha davvero a cuore gli interessi green del Paese, ieri gli stessi Cinquestelle dichiaravano l’impossibilità di bloccare il Tap a causa degli ingenti costi che ne sarebbero susseguiti scindendo il contratto. L’Ilva di Taranto continua ad essere aperta e nociva per la popolazione locale, ed è proprio nel corso del governo giallo-verde che lo stabilimento è passato sotto la guida, dissennata, di Arcelor-Mittal. Per quanto riguarda l’alta velocità, i cinquestelle sanno che sulla TAV si giocano molto, e che accondiscendere anche su questo punto li avrebbe danneggiati troppo. Per questo motivo lo scorso dicembre il Movimento 5 Stelle hanno abbandonato il tavolo dei lavori della commissione trasporti per impedire (invano) l’approvazione del programma sulla Torino-Lione che avevano faticosamente approvato nell’estate 2019. Ad oggi, il vero rallentamento dell’alta velocità non è sicuramente dovuto ai grillini, ma al Covid, che ha bloccato i lavori fino a poche settimane fa.
Sono tante le contraddizioni del Movimento 5 Stelle, sui temi e sulle strategie politiche. Troppa l’incompetenza che molti dei suoi esponenti hanno dimostrato. Troppe le giravolte fatte pur di rimanere in Parlamento. Decidere di far parte di un Governo presieduto dal burocrate per eccellenza, Mario Draghi, è forse quella più clamorosa, quella che consacra il M5S come un partito come gli altri. Non è un caso che in tre anni i consensi si siano più che dimezzati, e sia Di Maio che Grillo lo sanno bene. Come sanno bene che l’uscita di Di Battista dal Movimento 5 Stelle sia un duro colpo, insieme all’espulsione di 40 fra deputati e senatori, accusati di “eccessiva” coerenza verso il programma che li aveva portati in Parlamento tre anni fa, e che, per questo, hanno deciso di non votare la fiducia al governo Draghi. L’allontanamento (volontario e forzato) di personaggi storici del Movimento, fra cui lo stesso presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, unito al rischio di una vera e propria scissione all’interno del gruppo, hanno indotto Grillo a correre ai ripari, ad un federatore autorevole: Giuseppe Conte. Sarà infatti suo l’onere di rilanciare il Movimento 5 Stelle, nella speranza che la percentuale di consensi che ha accompagnato l’ex premier nel corso degli ultimi due mandati, possa fungere da salvagente per un partito che sta annegando sempre di più nelle sue stesse ipocrisie.
Negli ultimi tre anni il Movimento 5 Stelle ha fatto talmente tante pirouettes su sé stesso, da scavarsi la fossa da solo, schiacciato proprio dalle dinamiche di quel Parlamento che tre anni fa aveva minacciato di aprire come una scatoletta di tonno e da cui invece è stato plasmato, divenendo esattamente un partito come tutti gli altri. Se non peggio.
Giulia Esposito