A pochi giorni dal suo rilascio e il suo rimpatrio tramite un Falcon dell’aeronautica militare italiana, Almasri, il torturatore libico su cui pende un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale (Cpi) per crimini contro l’umanità, torna a Tripoli accolto da esultanze e applausi come un qualsiasi salvatore della patria. Il tutto ripreso da dei video ampiamente diffusi in rete. Il suo rilascio da parte del governo Meloni riflette, oltre alla debole efficacia delle sentenze emesse dalla Cpi, un aspetto peculiare del nostro esecutivo: quello di essere amico dei criminali di guerra.
Il caso Almasri: i fatti
Lo scorso 18 gennaio è stato emesso dalla Corte Penale Internazionale un mandato di cattura nei confronti del capo della polizia giudiziaria libica Jeem Osama Elmasry Habish, detto Almasri.
Almasri è accusato di crimini contro l’umanità. In particolare, è ritenuto responsabile di aver coordinato, ordinato e eseguito diversi omicidi, violenze sessuali e torture nelle strutture carcerarie di Tripoli, in particolare, nel carcere di Mitiga, una struttura dove vengono rinchiuse migliaia migranti provenienti da quasi tutto il continente africano che sperano di raggiungere l’Europa.
Il giorno dopo l’emissione del mandato di cattura, il 19 gennaio, il “torturatore di Mitiga” viene stato arrestato a Torino dove si trovava per seguire la partita Juventus-Milan ma scarcerato e rimpatriato appena un giorno dopo per via di un “errore procedurale”.
La scarcerazione e le accuse al governo
L’errore procedurale che ha permesso il rilascio ed il rimpatrio di Almasri, una persona appunto accusata di crimini contro l’umanità da parte della Cpi, sarebbe quello per il quale la Corte di Appello di Roma non ha potuto convalidare l’arresto poiché la Corte Penale internazionale avrebbe dovuto avvisare prima il guardasigilli Carlo Nordio, Ministro della Giustizia, che è colui che dà corso alle richieste formulate dalla Corte.
Sulla vicenda c’è ancora molto da chiarire e, infatti, pochi giorni dopo il rimpatrio del torturatore libico la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci ha tenuto a far sapere attraverso un video diffuso sui canali social che lei insieme al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e al Sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano sono indagati per i reati di peculato e favoreggiamento, non lasciandosi scappare l’occasione di precisare che tutta questa vicenda fa parte di un piano ben più strutturato, ordito per danneggiare lei e il suo governo.
Il vero problema sta nella fragilità della Cpi
Il caso Almasri e il suo clamore mediatico si collegano perfettamente ad un problema strutturale della Corte Penale Internazionale. Istituita nel 1998 attraverso lo statuto di Roma, la Cpi è attualmente riconosciuta da 124 paesi di cui, però, non fanno parte le principali potenze mondiali come Stati Uniti, Russia, Cina e India. Ciò significa che le sentenze della Cpi non hanno alcun potere, se non quello simbolico, nei maggiori centri di potere mondiali.
Mentre per quanto riguarda i paesi firmatari dello Statuto di Roma, le sentenze e le condanne emanate dalla corte penale internazionale sono vincolanti ma, in concreto, la Corte non possiede alcun mezzo capace di far rispettare le sue decisioni e quindi sta ad ogni governo decidere se farlo o meno. Non è quindi difficile pensare che se un paese intrattiene rapporti diplomatici ed economici amichevoli con determinati paesi sarà molto propenso a decidere di non arrestare (o rimpatriare in segreto) personaggi su cui pendono mandati di cattura direttamente dall’Aia.
Sarà forse per questo motivo che il Vicepremier Matteo Salvini durante l’ultima assemblea ANCI si è sentito libero di dichiarare che «se Netanyahu venisse in Italia sarebbe il benvenuto. I criminali di guerra sono altri» provocando l’imbarazzo di molti dei suoi colleghi di governo dato che, anche sul Primo Ministro Israeliano, pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla corte penale Internazionale a seguito della sua campagna genocidiaria nei confronti del popolo palestinese.
Un affronto alla giustizia internazionale
È inaccettabile che un leader politico con incarichi di governo affermi liberamente che il responsabile di un genocidio su cui pende un mandato di cattura internazionale sia il benvenuto nel nostro paese nel caso volesse, mancando di rispetto alle più di 50mila vittime uccise dal 7 ottobre 2023 nei territori palestinesi, oltre che agli organi sovranazionali.
È poi inaccettabile che il governo di un paese che riconosce la Corte Penale Internazionale rimpatri un carceriere torturatore che lucra sulla disperazione di centinaia di persone che provano ogni giorno ad arrivare in Europa per trovare quel futuro che nel loro paese gli è stato negato. Ma questo, come già detto, riflette l’essenza di questo governo.
Il fatto di aver scelto di rimpatriare un soggetto condannato dalla Corte Penale Internazionale come Almasri rende chiaro da che parte stanno: dalla parte di chi della violenza ne ha fatto un mestiere, di chi usa la disperazione di migliaia di persone per arricchirsi, dalla parte di chi, per chissà quale ideologia malata, massacra indisturbato intere popolazioni. In sostanza, dalla parte sbagliata della Storia.
Benedetta Gravina
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