Il dibattito sul biotestamento è sempre più incessante: l’Italia politica è divisa tra incertezza e disinteresse, all’estremo opposto troviamo invece quella parte di cittadinanza che supporta l’azione di disubbidienza civile messa in atto da Marco Cappato.
Dal punto di vista politico, il trittico favorevoli-sfavorevoli-indifferenti ha arenato la discussione e rischia di affossarla del tutto se dovesse scontrarsi con lo scadere della legislatura. Difatti, dal 20 aprile 2017 ad oggi, l’unica attività degna di nota legata al DDL sul biotestamento è il passaggio dalla Camera al Senato – per le “disposizioni anticipate di trattamento” l’attesa è più lunga di quanto era stato auspicato in primavera.
Come votano i partiti sul biotestamento?
Consultando le votazioni di aprile che hanno permesso l’approvazione del DDL alla Camera, la situazione risulta piuttosto netta: a una grande maggioranza dovuta soprattutto al blocco di sinistra si contrappone la contrarietà delle rappresentanze di destra e di Alternativa Popolare.
Stando alle più recenti dichiarazioni, i pareri espressi potrebbero essere in larga misura riconfermati in Senato – e se Salvini crea discussione affermando che il suo primo interesse sono i vivi e non i morti, Maurizio Lupi di AP stronca il disegno di legge accusandolo di essere un primo passo verso la legalizzazione dell’eutanasia.
5 Stelle e Pd si sfidano sul #biotestamento, quasi fosse una gara a chi arriva prima. Noi non voteremo questa legge che lascia sole le persone nel momento in cui sono più deboli e apre le porte all’eutanasia.
— Maurizio Lupi (@Maurizio_Lupi) 1 dicembre 2017
Eutanasia, vivi e morti, fine vita: ma su cosa è chiamato a scegliere il Senato?
Le certezze sono poche ma sufficienti, in realtà: il DDL sul biotestamento non è inclusivo di un provvedimento sull’eutanasia ed è, com’è intuibile, orientato a rendere i vivi padroni di una scelta che ad oggi è negata.
Inoltre, poiché alla libertà di scelta si legano indissolubilmente il diritto alla salute e il consenso informato, il disegno di legge stesso stabilisce delle tutele sia per il paziente che per il medico. Il primo è autorizzato a revocare e modificare in qualsiasi momento le disposizioni anticipate di trattamento, mentre al secondo è accordata la possibilità di disattendere le DAT qualora queste, ad esempio, siano state decise prima dell’introduzione di nuove terapie.
Il fine ultimo di un biotestamento non è quindi favorire la morte di una persona, ma garantire a ognuno la possibilità di essere padrone della propria vita sino alla fine, traendo insegnamento dalle esperienze di vita che, qui in Italia, sono diventate casi di interesse pubblico – come Eluana e Fabo.
Cosa c’entra il processo a Cappato con l’approvazione del biotestamento?
Marco Cappato ha accompagnato Dj Fabo in Svizzera per consentirgli di ricorrere al suicidio assistito. Questa azione, tradotta in “termini italiani”, significa violazione dell’articolo 580 del codice penale, “Istigazione o aiuto al suicidio”:
«Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni.»
Autodenunciandosi appena tornato in Italia, Cappato ha di fatto messo in atto una disobbedienza civile: ha violato consapevolmente una norma che reputa ingiusta e che pertanto auspica possa essere cambiata.
Il processo che segue un’azione del genere non è più un semplice processo alla persona, bensì al principio che quella persona rappresenta.
Dalla condanna o dall’assoluzione di Cappato potrebbe dipendere l’apertura dell’Italia a fattispecie quali l’eutanasia e lo stesso biotestamento, ed è qui sia l’importanza di questo processo che probabilmente la risonanza di cui sta godendo un DDL precedentemente abbandonato tra le scartoffie del Senato.
Il testamento biologico chiama in causa fattori etici, religiosi e morali che in Italia hanno sempre reso ostiche le battaglie per i diritti tesi a garantire l’autodeterminazione dell’individuo. La libertà di scelta spaventa, crea contrasti, dà pensiero, e allora c’è chi la insulta, chi la declassa a roba di poca importanza, chi ne fa bandiera di circostanza e chi, invece, ci crede sul serio e si schiera in prima linea.
Eppure, l’Italia che ha firmato e ratificato la Convenzione di Oviedo (convenzione sui diritti umani e la biomedicina) ha approvato, tra gli altri, anche l’articolo 9, “Desideri precedentemente espressi”:
«I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione.»
Articolo che, per quanto sia stato definito vago, ha in sé una direzione ben precisa, che è quella di avere in considerazione la volontà della persona, anche se espressa in precedenza. Non si tratta di una definizione che anticipa il biotestamento, ma sicuramente ne richiama il principio alla base.
In questa cornice più grande, si inserisce la seconda udienza del processo a Cappato, che rappresenta un importante tassello della reinterpretazione di talune tematiche nel contesto italiano. Un processo che dovrà in primis verificare che la volontà espressa da Fabo non sia stata viziata da terzi e in secondo luogo dovrà, per estensione, decidere se concedere o meno a un uomo il diritto di scegliere se vivere o morire.
Rosa Ciglio