La minore rappresentanza politica delle donne in tutto il mondo apre una questione centrale nella lotta al cambiamento climatico: come dare voce alle istanze delle donne durante la COP26? La Conferenza ONU sul clima vede quasi tutti i Paesi del mondo sul tavolo delle difficili negoziazioni per presentare un piano per limitare il riscaldamento globale non oltre i 1,5° Celsius sui livelli preindustriali. Questo decennio sarà decisivo per le sorti del pianeta e le voci delle donne, delle popolazioni indigene e delle generazioni più giovani dovranno essere ascoltate, affinché il summit non si risolva in un nulla di fatto. Secondo diversi studi, proprio le persone in condizioni socioeconomiche più vulnerabili sono le più colpite dagli effetti del cambiamento climatico, incluse le donne e le giovani.
Il complesso intreccio fra questione di genere e cambiamento climatico
Come si intrecciano le istanze per l’uguaglianza di genere e per i diritti delle popolazioni indigene con la protezione della biodiversità e la lotta contro il cambiamento climatico? Questa relazione complessa viene chiarita da diversi studi che dimostrano come il cambiamento climatico possa esacerbare le diseguaglianze di genere. O come, al contrario, un miglioramento delle condizioni di vita di molte donne possa mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, o addirittura limitare il surriscaldamento globale. La voce delle donne deve quindi trovare uno spazio al centro dei negoziati della COP26.
Le donne in molte aree del mondo sono responsabili del procacciamento di combustibile, cibo ed acqua. Per questo motivo, la crisi climatica pesa particolarmente sulle loro spalle, rendendo ancor più difficile l’approvvigionamento di queste risorse fondamentali. Inoltre, le donne indigene che non possono rivendicare alcun diritto sulle terre, rischiano di diventare migranti climatiche, costrette dal cambiamento climatico a trasferirsi in altri luoghi per riuscire a sopravvivere. Allo stesso tempo, alcune misure per contenere il cambiamento climatico, come l’uso di stufe solari, potrebbero apportare benefici per molte donne del Sud globale, riducendo l’inquinamento indoor, all’interno delle abitazioni, dovute ai fuochi accesi per cucinare. Inoltre, l’accesso all’istruzione delle giovani donne che vivono in case non raggiunte dalla rete elettrica potrebbe essere assicurato dalla possibilità di studiare dopo il tramonto attraverso la fornitura di energia da fonti rinnovabili.
Come riporta il The Guardian, Mary Robinson, ex Alto Commissario ONU per i diritti umani, ha affermato a proposito della mancanza di rappresentanza delle donne all’interno della COP26: «Abbiamo bisogno di mettere al centro le donne e le ragazze nel contesto climatico – le donne devono essere incluse al tavolo. Il Regno Unito ha promesso una COP più inclusiva, ma non lo è. La crisi dovuta alla Covid ha esacerbato e cementato la disuguaglianza di genere, e abbiamo bisogno di continuare a lavorare sul piano d’azione di genere».
Lo stesso giornale britannico menziona alcuni studi che evidenziano come il cambiamento climatico possa essere un ulteriore fattore scatenante della violenza sulle donne. Forme di sfruttamento, prostituzione forzata, matrimoni forzati o minorili, violenza sessuale e stupri potrebbero essere sempre più frequenti all’aumentare dello stress a cui vengono sottoposti gli ecosistemi e conseguentemente le popolazioni che vi abitano. In aree del mondo in cui la degradazione ambientale avanza a causa dei crimini ambientali le donne attiviste che lottano per difendere i propri diritti e per la giustizia climatica, le migranti e le rifugiate climatiche incorrono sempre più spesso in episodi di violenza. La scarsità di risorse dovuta al cambiamento climatico e alla distruzione dell’ambiente naturale crea una competizione serrata per l’accaparramento delle risorse, generando a sua volta un vortice di violenza e sfruttamento nei confronti delle donne e delle giovani, svantaggiate dal punto di vista socioeconomico e prive di diritti di proprietà sulle terre. La COP26 di Glasgow non può ignorare il profondo intreccio che lega crisi climatica e questione di genere, ma la debole rappresentanza politica delle donne rischia di far passare le loro richieste in secondo piano.
All’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, la parlamentare portoghese Edite Estrela, relatrice del rapporto “Combattere le ineguaglianze rispetto al diritto a un ambiente sicuro sano e pulito” ha segnalato come le donne siano state le più colpite dall’ondata di calore del 2003 che si è abbattuta sul Portogallo, con il doppio delle morti rispetto agli uomini. Ancor più sconvolgente, nel mondo una donna ha una probabilità 14 volte superiore rispetto agli uomini di morire a causa dei disastri naturali.
Donne e COP26
Rimandata di un anno a causa della pandemia, la Conferenza ONU sul clima è stata molto attesa. Alle porte degli anni 20 del XXI secolo il prossimo decennio sarà decisivo per la limitazione entro il 2030 delle emissioni di gas a effetto serra rilasciate dalle attività umane nell’atmosfera. La vera sfida sarà ora affrontare il dilemma fra ripresa economica post-pandemica e diminuzione delle emissioni.
Eppure, la COP26 non sembrava partire con i migliori presupposti: secondo la BBC, un’enorme fuga di documenti ha rilevato che alcuni governi insieme a compagnie e gruppi d’interesse stanno facendo pressioni sul team di scienziati dell’IPCC, Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, affinché modifichino il report contenente le migliori prove scientifiche su come affrontare il cambiamento climatico. In particolare, Arabia Saudita, Giappone e Australia stanno chiedendo all’ONU di minimizzare l’urgenza di abbandonare i combustibili fossili. La notizia di queste pressioni da parte dei Paesi più ricchi non lascia presagire una volontà unanime di limitare il surriscaldamento globale non oltre i 1,5 gradi Celsius sui livelli preindustriali e di ascoltare le voci di donne, popolazioni indigene e giovani direttamente colpiti dal cambiamento climatico.
Nella giornata d’apertura della COP26 qualche giorno fa alcune donne indigene hanno pronunciato discorsi passati in sordina nei media mainstream, ma estremamente severi nei confronti dei paesi del Nord Globale, delle grandi industrie e dei governi coloniali. India Logan-Riley, attivista climatica maori di 26 anni, ha affermato con parole dure: «La terra della mia regione è stata rubata dalla Corona britannica per estrarre il petrolio e prosciugare la terra di tutte le sue sostanze nutritive, mentre si cercava di sfollare le persone. Queste forze storiche continuano a plasmare la mia vita e mi hanno portato qui, Questo è un invito per voi. In questa COP, imparate le nostre storie, ascoltate le nostre storie, onorate la nostra conoscenza e mettetevi in fila, o toglietevi di mezzo».
La giovane attivista Txai Surui dall’Amazzonia brasiliana, appartenente a una comunità indigena che vive nella foresta da 6.000 anni, si rivolge al pubblico: «Un mio amico d’infanzia è stato ucciso mentre proteggeva l’ambiente. Il popolo indigeno è in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, per questo dobbiamo essere al centro delle decisioni che verranno prese qui. Noi abbiamo le idee per posticipare la fine del mondo. Fermiamo le emissioni di promesse bugiarde e irresponsabili. Finiamola con l’inquinamento delle parole vuote e lottiamo per un futuro e un presente vivibile».
Dall’isola di Samoa, Brianna Fruean ha evidenziato la grande minaccia che pesa sulle teste delle popolazioni che vivono negli arcipelaghi del Pacifico: «Mi ricordo, alle elementari, la mia maestra che diceva alla mia classe che il cambiamento climatico avrebbe potuto significare la scomparsa delle piccole isole come Samoa, Tutuila e Tonga. Ho pensato: “Non lascerò che le mie isole affoghino”. […]Non siamo solo vittime di questa crisi, siamo stati resilienti fari di speranza. I giovani del Pacifico si sono radunati dietro il grido “Non stiamo affogando, stiamo combattendo”. Questo è il nostro grido di guerra al mondo».
Le donne sembrano inquinare meno, consumare meno energia ed essere più interessate alla causa ambientalista, ma sono poco rappresentate negli organi nazioni e internazionali che prendono decisioni politiche riguardo al cambiamento climatico. Nonostante il piano d’azione di genere (Gender Action Plan) approvato a Madrid nel 2019, la COP26 non sembra far eccezione.
Rebecca Graziosi