Il razzismo, come ormai sappiamo (o dovremmo sapere) molto bene, non è un fenomeno circoscritto solo ad alcune fasce della popolazione. Al contrario, risulta parte integrante ed essenza del sistema produttivo capitalista, costituendosi come un dispositivo al centro della democrazia neoliberale.
«Difendere i confini e la sicurezza dell’Italia per me è stato, è e sarà sempre un orgoglio.» Con queste parole l’ex-Ministro dell’Interno italiano ha reagito alla notizia dell’apertura di un’indagine per sequestro di persona in merito al caso delle 150 persone trattenute a bordo della Open Arms.
La procura di Agrigento ha sostenuto che i migranti siano stati costretti illegalmente a bordo a partire dal 14 agosto, nonostante la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio avesse sospeso il divieto di ingresso in acque territoriali per la nave della ONG.
Per adesso le accuse sono a carico di ignoti, ma è chiaro che qualcuno con la coda di paglia ha già colto in che direzione soffia il vento. Non solo, ma ha reagito in perfetto stile democrazia 2.0, twittando prontamente una risposta (rigorosamente inferiore ai 160 caratteri), nel linguaggio del securitarismo e della militarizzazione sullo sfondo del solito quadretto di paternalismo sovranista.
La democrazia si è fermata ai confini dello Stato
In un bell’articolo uscito su Jacobin Italia, Miguel Mellino, professore di studi postcoloniali all’Università di Napoli L’Orientale, ha scritto che la nuova ondata di violenza razzista in Italia è un preludio al «violento rilancio [del razzismo] come strumento di consenso e di sutura nazional-popolare», ma ci dice anche molto di un’Europa in crisi e delle sue pulsioni sovraniste.
Sembra quasi un paradosso accostare il tweet dell’ex-Ministro alle parole della neo presidentessa della Commissione Europea che, in un discorso di qualche giorno fa, ha dichiarato di voler sostenere la migrazione legale di persone qualificate «di cui abbiamo bisogno».
In realtà entrambi i discorsi nascono da una stessa matrice politica, quella dello Stato-nazione liberale che le democrazie occidentali hanno eletto a proprio habitat naturale.
Secondo Donatella Di Cesare, filosofa e professoressa di filosofia teoretica alla Sapienza, il paradosso della democrazia radicata nello Stato nazionale sta proprio qui.
Non solo la sopravvivenza stessa dello Stato-nazione dipende dall’esercizio del potere sovrano all’interno dei suoi confini, ma il riconoscimento dei diritti inalienabili dell’uomo allo “straniero” può essere concesso solamente da uno Stato sovrano che, al tempo stesso, concede diritti civili unicamente ai membri della nazione, cioè ai cittadini.
Le democrazie occidentali sono sorte proclamando contemporaneamente i diritti dell’uomo e quelli del cittadino, che ai tempi della Rivoluzione Francese fondamentalmente si identificavano. Tuttavia nel nuovo millennio, con l’ingresso negli Stati-nazione occidentali delle masse di “stranieri”, non si può più ignorare l’esistenza di un’inconciliabilità, logica e di fatto, tra diritti umani e diritti del cittadino.
Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor (o il razzismo?)
La sovranità in declino reagisce alla mobilità causata dalla globalizzazione innalzando muri in un contesto in cui le frontiere assumono un valore quasi mitico perché è solo grazie a questa vigilanza, alla barriera tra cittadini e stranieri/invasori, che lo Stato nazionale democratico può garantire i diritti civili al suo interno.
La frontiera, violando il principio di uguaglianza tra tutti gli uomini, delimitando il territorio e tutelando il potere della comunità che vive al suo interno, diventa così la condizione non-democratica della democrazia.
Vediamo dunque come la gestione della “crisi migratoria” in una maniera più “sostenibile” o rispettosa dei diritti umani finisce per essere una contraddizione in termini, dal momento che l’impossibilità di aprire i confini statali non è relativa all’ascesa del sovranismo ma è una caratteristica intrinseca della democrazia liberale.
È proprio questo processo continuo di inclusione/esclusione espresso nei termini di legalità/illegalità che sta alla base del dispositivo capitalista dell’immigrazione.
Infatti il migrante è sempre voluto ma non benvenuto, richiesto come lavoratore ma indesiderato come straniero.
La barriera tra cittadino e straniero si abbassa nel caso in cui quest’ultimo sia funzionale alle logiche di mercato, in un dispositivo che sfrutta la possibilità di importare manodopera straniera a basso costo (così come sfrutta, ad esempio, il traffico di armi e la distruzione delle risorse naturali) e al contempo ne controlla il flusso con politiche di repressione nella “lotta all’immigrazione clandestina”.
Se è vero dunque che la congiuntura sovranista ha contribuito a una maggiore politicizzazione del razzismo e alla razzializzazione della politica, d’altra parte è stato ampiamente dimostrato che il razzismo non può ritenersi un’eccezione a un’imprecisata norma della società civile e democratica, ma al contrario è una componente strutturale del sistema.
Il razzismo, dunque, si rende visibile, non solo nelle parole xenofobe dei leader di partiti sovranisti, ma soprattutto nei processi di segregazione sociale (e urbana) e nella segmentazione etnica del mercato del lavoro.
Uscire dal dibattito sul razzismo concentrato sull’emergenza e sull’eccezione (gli arrivi e le morti dei migranti in mare, i casi di violenza razzista come quello di Macerata) significa dunque ripensare l’antirazzismo in termini politici.
Il discorso antirazzista non può più porre la questione della gestione migratoria in termini etico-morali o, ancora peggio, utilitaristici e di mercato, così come non si può associare il razzismo al “pregiudizio” e all’ignoranza di determinati contesti sociali.
L’unica possibilità per contrastare il sovranismo è un antirazzismo efficace e non una vuota retorica che finisce per assolvere la classe media occidentale, un antirazzismo che sia effettivamente critico del sistema e delle sue proprie pratiche, riflettendo in maniera approfondita sulle basi stesse della democrazia.
Claudia Tatangelo