Politica estera: l'Unione Europea ad un bivio chiamato "elezioni"
European Union flag. Free public domain CC0 photo.

Un appuntamento che sa di futuro. Un futuro incerto, pieno di incognite e che, a seconda della direzione che gli elettori sceglieranno di intraprendere, condizionerà in modo irreversibile le scelte, soprattutto in politica estera, che verranno effettuate. Sono le Elezioni Europee, previste per l’8 e il 9 giugno 2024. Pochi giorni per decidere le prossime sfide che mezzo miliardo di persone dovranno affrontare sullo scacchiere internazionale, e non solo. Dalla guerra in Ucraina e i primi evidenti sintomi di “stanchezza occidentale” al Medio Oriente, dove infiamma il confronto tra Israele e Hamas, con l’Iran alla finestra. Dai rapporti con l’incognita cinese alla totale assenza di una strategia comune europea in politica estera. Dossier scottanti, ai quali la prossima Commissione e il prossimo Parlamento saranno obbligati a rispondere. Il destino dell’Unione Europea non è mai stato così in bilico.

Appare evidente che l’attuale scenario internazionale faccia presagire l’arrivo di una travolgente ondata di destra, diretta conseguenza di un periodo storico in cui la politica continentale ha deciso di arroccarsi su posizioni profondamente conservatrici. In questo contesto, le probabilità che nella futura maggioranza parlamentare a Bruxelles possano esserci anche membri dell’estrema destra, è molto alta.

La posta in gioco è molto alta. Le sfide sono molteplici e la capacità di riuscire a fronteggiarle dipenderà soprattutto da chi, una volta chiuso il cerchio elettorale, sarà chiamato ad affrontarle.

Guerre, Russia e Medio Oriente: la politica estera al centro

Seppur in Italia la campagna elettorale si stia concentrando soprattutto su elementi del tutto secondari, per usare un eufemismo, quali i tappi di bottiglia e sulle X (o “decima“, a seconda di chi sta leggendo), il futuro del continente si deciderà soprattutto sui tavoli internazionali. La prossima Commissione non sarà chiamata a gestire i tappi di plastica, bensì quale impronta dare alla gestione del dossier ucraino che, dal 2022, ha gettato l’Unione Europea in uno dei momenti economicamente, socialmente e in parte militarmente più difficili degli ultimi cinquant’anni.

Come gestire i rapporti con una Russia che, da poco, ha riconfermato con quasi il 90% dei consensi l’attuale Presidente, Vladimir Putin, e con Kiev, sempre più in difficoltà a causa di una campagna militare dispendiosa in termini di vite umane e munizioni, con una copertura area insufficiente a contrastare i continui bombardamenti di Mosca. Senza contare la gestione di una consistente parte dell’opinione pubblica continentale al sostegno militare e diplomatico della causa ucraina. Il sì di Joe Biden all’impiego delle armi fornite dall’Occidente per attaccare obiettivi entro i confini della Russia è sicuramente uno dei punti più delicati su cui i nuovi vertici continentali dovranno approcciarsi con tutta l’attenzione del caso.

Il prossimo Parlamento europeo, che sarà composto di 720 deputati (rispetto agli attuali 705) e la nuova Commissione dovranno altresì affrontare la difficile situazione in Medio Oriente. Anche qui, il confronto Israele-Hamas, con l’Iran alla finestra, sta dividendo l’opinione pubblica continentale, come dimostrano le decine di manifestazioni che quasi quotidianamente scuotono le grandi città europee, e l’assenza di una posizione chiara e netta della politica continentale si fa sentire ogni giorno sempre di più.

D’altronde, non è un segreto che in politica estera l’Unione Europea faccia molta fatica. Stretta nella morsa del confronto USA-Cina, Bruxelles si trova imbottigliata a causa del suo scarso peso sui grandi tavoli internazionali, diretta conseguenza del fatto che gli stati membri abbiano sempre rifiutato di favorire la nascita di una vera politica estera comune. Il perseguimento dei propri interessi domina la scena continentale, come dimostrano le fughe in avanti di due grandi Paesi come la Francia e la Spagna su due dossier delicati quali l’Ucraina e il Medio Oriente. Si tratta perlopiù di prese di posizione a favor di media, ma molto significative nel ribadire il caos che domina quando si parla di politica estera a Bruxelles.

Il periodo, però, non è sicuramente dei migliori per continuare a ignorare questa esigenza. Le sfide future dell’Unione Europea sono cosa risaputa e sicuramente la resa dei conti non tarderà ad arrivare. La posta in gioco è alta: dal futuro assetto dell’Europa orientale dopo il confronto Russia-Ucraina ai rapporti con i Paesi arabi e Israele, senza considerare l’incognita cinese con cui l’UE non ha mai chiarito la sua “forma di interlocuzione”: partner commerciale o rivale strategico? Una definizione, questa, che passa dal grado di autonomia concesso dagli Stati Uniti, i quali negli ultimi mesi preferiscono rivolgersi maggiormente ai “collaborativi” Paesi dell’Europa orientale, come la Polonia, che agli alleati di sempre, Italia compresa. Pesa, in questo caso, anche l’assenza dalla scena continentale della Germania, da sempre locomotiva d’Europa e ora completamente immersa nei mutevoli equilibri di una politica interna minacciata dall’avanzata di AfD.

L’Unione Europea vira a destra?

A giudicare dalle previsioni, è davvero possibile che il prossimo Parlamento Europeo avrà una maggioranza di destra, che prenderà il posto della storica coalizione PPE-Socialisti-centrosinistra e Liberali che ha guidato il continente per diversi anni. Di conseguenza, i dossier scottanti, anche in politica estera, è possibile siano gestiti con un’impronta di destra. Con tutte le incognite del caso, dato la situazione inedita che si prospetta. Al di là dei programmi delle singole formazioni politiche, i quali accennano alla politica estera con tocchi di sovranismo e irreali prospettive eccessivamente conservatrici – che ignorano il contesto internazionale e le relative alleanze in cui l’UE è coinvolta -, la realtà dei fatti è diversa.

L’Unione Europea sarà chiamata a confrontarsi con sfide epocali e che non si esauriscono soltanto con le guerre in corso ma che toccano temi sensibili come il cambiamento climatico e l’immigrazione, su cui pesano ancora gli interessi particolaristici dei singoli stati membri. Senza considerare la sfida tecnologica, con il capitolo semiconduttori – in previsione di un confronto USA-Cina – alla finestra e su cui Bruxelles è totalmente disarmata. Segue l’interessante evoluzione del dossier IA, con l’approvazione del regolamento europeo (prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale) e la nascita di un Ufficio dell’IA, incardinato direttamente in Commissione.

Le sfide che parlano di futuro. Un concetto questo, la cui compatibilità con una maggioranza conservatrice è fortemente messa in discussione. A meno di sorprese dell’ultimo minuto o di un radicale cambiamento d’approccio da parte dell’estrema destra, l’Unione Europea sarà comunque chiamata a doversi confrontare con dossier delicati, alcuni dei quali parlano la lingua del progresso. La politica estera, dal canto suo, soffre di problemi le cui radici affondano, più che nelle maggioranze di governo, nei problemi atavici dell’assenza di una politica estera comune e di una forte mancanza di lungimiranza e leadership che, molto probabilmente, caratterizzerà anche il prossimo confronto continentale.

Donatello D’Andrea

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