Durante il Seicento, il secolo che più di tutti assomiglia al Novecento, scienza e fede si scontrano generando inquietudini nell’uomo moderno. Nell’epoca degli scienziati eretici e dei filosofi rivoluzionari, spicca per eminenza la figura di René Descartes, in latino Cartesio, il pensatore e matematico che ha contribuito a fondare la scienza moderna per come la intendiamo oggi.
La sua opera più importante, il Discorso sul Metodo, risale al 1637: mentre l’Europa continua a macchiarsi del sangue dei soldati caduti in nome della fede religiosa durante la Guerra dei Trent’Anni, Cartesio conduce una vita appartata e solitaria, movimentata solamente dai diversi viaggi in giro per il Vecchio Continente. È proprio durante uno dei suoi soggiorni europei che prende forma la riflessione che si trasformerà nel trattato più importante dell’autore: è necessario adoperare la razionalità affinché essa stessa conduca a un criterio univoco e razionalmente fondato grazie al quale riuscire a discernere il vero dal falso.
La sua riflessione deriva anche dalle esperienze avute in gioventù. Al termine degli studi compiuti nel collegio gesuitico di La Flèche, Cartesio avverte un senso di insoddisfazione dovuto al carattere meramente nozionistico della sua formazione. Inizia quindi a meditare sul problema del metodo a partire dal 1627 circa, data di pubblicazione delle Regole per dirigere l’ingegno. Successivamente, nel Discorso, la sua riflessione assumerà un carattere più completo e sistematico.
La filosofia di cui Cartesio si fa portatore non ha solamente carattere speculativo, ma anche pratico: deve cioè essere adoperata per poterne trarre dei vantaggi, deve essere utile anche nella vita di tutti i giorni, in modo che l’essere umano possa attuare compiutamente il dominio sulla natura al quale tanto aspira. Infatti, il suo metodo dovrà essere unico ma in grado di essere applicato a qualsiasi tipo di disciplina, dal momento che la stessa saggezza umana è unica e ha diversi campi di applicazione. Il metodo cartesiano, inoltre, si articola in quattro principali regole: la regola dell’evidenza, la regola dell’analisi, la regola della sintesi e la regola dell’enumerazione. Mentre nella prima assume un’importanza fondamentale la capacità di accettare come vero solo ciò che appare chiaro e distinto alla mente, nel caso dell’analisi e della sintesi Cartesio si addentra in questioni di natura metodologica: infatti, per analisi si intende la divisione di un problema complesso in parti più semplici, mentre la sintesi consiste nel ricomporre il problema con il metodo induttivo, dalla parte più semplice alla più complessa. Seguirà l’enumerazione, la fase che prevede la verifica dello svolgimento del ragionamento per fugare qualsiasi errore.
Per poter dare un fondamento al suo metodo, Cartesio risale alle origini dello stesso: partendo dal dubbio metodico, cioè l’utilizzo del dubbio come metodologia di indagine della realtà, Cartesio conclude che tutto è falso al di fuori dell’esistenza di sé stesso in quanto essere pensante, formulando così il celebre motto cogito ergo sum, il principio primo della filosofia cartesiana. Dal cogito come fondamento, il filosofo arriva alla dimostrazione dell’esistenza di Dio: l’essere umano ha in sé innata l’idea di Dio, perciò è necessario che esista un ente perfetto dal quale essa sia scaturita. Se l’essere umano fosse causa di sé stesso, quindi se si fosse generato da sé, non si sarebbe creato così imperfetto, e questa è la prova che deve necessariamente esistere un essere perfetto dal quale deriva l’idea di perfezione con cui l’uomo può mettere a paragone la propria imperfezione.
Se la dimostrazione dell’esistenza di Dio può sembrare una forzatura – del resto sarà ampiamente criticata dalla filosofia successiva – è pur vero che Cartesio ha contribuito con il suo metodo e con le sue conoscenze in ambito matematico e geometrico a fondare il pensiero occidentale per come lo conosciamo, un merito che non si può assolutamente ignorare.
Giulia Imbimbo