Mondiale Qatar 2022

Ogni Mondiale ha sempre una storia da raccontare e dei protagonisti da scoprire: nemmeno l’edizione più discussa della storia è esente da questa meravigliosa prassi, nonostante l’innato desiderio di boicottare ogni singola partita fosse sempre più vivo e crescente da più parti del mondo. Ma il calcio alla fine è uno sport che si lascia guardare con una facilità disarmante, e per questo motivo riusciamo tutti ad essere sempre testimoni di miracoli come quelli del Giappone e dell’Australia. Oggi però non sono tanto i risultati sportivi a interessare, bensì coloro che questi risultati li stanno scrivendo sul campo davanti ai nostri occhi.

Storie di persone, prima che calciatori. Storie di rivalsa umana contro le avversità della vita, come quella che ci ha lasciato in eredità il match tra Svizzera e Camerun, in cui gli elvetici si sono imposti per 1-0 sui Leoni indomabili. Un risultato che racconta molto di più dei singoli 3 punti nel girone del Mondiale, perché il gol segnato da Breel Embolo ha un valore che va molto oltre il campo di gioco, un valore che va ricercato all’interno di un mondo le cui barriere vanno sempre più assottigliandosi, raccontandoci di un mondo che si rende sempre più multietnico. Perché Embolo è nato proprio in Camerun, nella città di Yaoundé, come Joel Embiid, cestista dei Philadelphia 76 che giocherà gli Europei di Basket con la Francia, ma questa è un’altra storia.

E per quanto l’attaccante del Monaco avesse provato a spiegare, nei giorni precedenti alla partita, che per lui era un match importante e che fosse pronto ad affrontarlo al 100%, dopo aver spinto il pallone oltre la linea di porta non ha potuto trattenere le emozioni, ed ha alzato le mani quasi per scusarsi con quella che è difatti la sua famiglia, il suo sangue. Un gesto che racconta mille emozioni che noi possiamo solo fingere di capire, davanti alle quali siamo solo meri spettatori che apprezzano gli intrecci del destino che queste persone affrontano e che ci dimostrano ancora una volta la bellezza degli sforzi profusi per andare oltre la propria condizione.

La storia di Embolo è quella di una famiglia che lascia un paese in difficoltà per raggiungere una condizione migliore, una storia come tante che vediamo quotidianamente tra le notizie del giorno, quelle di famiglie di immigrati che si imbarcano in viaggi impossibili per scappare da situazioni insostenibili. L’attaccante svizzero è il figlio di un mondo che non vede lo straniero come un male, bensì come un valore aggiunto al proprio paese, una risorsa in più. E il racconto della vita di Embolo è lo stesso che possiamo fare per Alphonso Davies, nato in un campo profughi vicino Accra, in Ghana, da genitori liberiani in fuga dalla guerra, e arrivato in Canada all’età di 5 anni. Un talento arrivato da fuori che ha accresciuto infinitamente il prestigio del calcio canadese e che sarà per sempre ricordato come il primo calciatore canadese a segnare un gol al Mondiale. Oppure per Ansu Fati, uno dei talenti più cristallini del calcio spagnolo che è nato e cresciuto in Guinea-Bissau e che oggi arricchisce il patrimonio calcistico di una nazione che ha saputo fare tesoro di un talento che non è nato nel proprio territorio, ma che ha scelto di viverci e di farne parte.

Storie di rivalsa, come quelle che arrivano dai Balcani, con portabandiera eccezionali come Luka Modric, vincitore del pallone d’oro grazie alle prestazioni avute con la sua Croazia nel 2018 proprio al mondiale, rappresentando un paese che fino al 1991 non era nemmeno indipendente, e di chi come lui ha vissuto in prima persona il conflitto in Jugoslavia, le cui scorie sono ancora evidenti sul campo di calcio in partite come SvizzeraSerbia. La storia di Embolo, infatti, è anche quella di Xhaka e Shaqiri, con scenari drammatici che si concludono in lieto fine, quando dall’altra parte c’è qualcuno pronto ad accoglierti a braccia aperte. I sacrifici compiuti da queste persone, la voglia di ribaltare lo scenario della propria vita per donare ai propri figli un futuro migliore si è spesso scontrata con l’indifferenza e il razzismo, spesso mascherati dietro un senso di nazionalismo che non ha alcun motivo di esistere. Il calcio è stato forse il veicolo più potente attraverso cui le minoranze etniche hanno avuto modo di farsi accettare nei paesi d’accoglienza, e il Mondiale ne è l’esempio più meraviglioso.

L’immaginario collettivo sull’immigrazione e su un mondo multietnico è spesso sbagliato, anche per coloro che hanno le più buone intenzioni. Accogliere persone sul proprio territorio non significa solo aiutarle a fuggire dalla miseria e dalle sofferenze, ma anche arricchire il proprio patrimonio culturale e, in questo caso, sportivo, aggiungendo un qualcosa di diverso a ciò che normalmente potresti trovare in casa tua. Il mondiale ci ricorda ancora una volta come l’accoglienza e l’abbattimento dei pregiudizi stiano cambiando lo scenario mondiale in ogni modo possibile. E arriverà anche il giorno in cui storie come quella di Embolo e Davies saranno la semplice normalità, e non più delle straordinarie eccezioni che dobbiamo sottolineare.

Andrea Esposito

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