Sedici giorni: è il tempo trascorso tra i due eventi meteo estremi che hanno sconvolto il Nord America e la Germania sud-occidentale. Appena sedici giorni, un breve periodo in cui la crisi climatica ha mostrato tutta la propria forza spazzando via non solo intere città, ma anche le umane speranze riposte nelle opportunità offerte del tempo, un tempo che però non abbiamo più. Cominciare a chiamare le cose con il proprio nome potrebbe essere il primo passo per uscire da quello stallo in cui la politica e l’imprenditoria mondiale ci hanno costretto, una gabbia di rinvii dettati dalla preoccupazione, dalla paura di cambiamenti tanto radicali quanto necessari. Timori di un’economia che potrebbe crollare a causa di misure ambientali urgenti, in un mondo dove l’economia crolla da anni, dove la classe povera sprofonda sempre più negli abissi di una vita senza giustizia, mentre pochi multimiliardari continuano ad accumulare ricchezze di una vita senza vergogna. Adottare termini appropriati, superando definitivamente i cliché dei negazionisti e le banali accuse di creato allarmismo. Riconoscere la drammaticità di una crisi fuori controllo: l’apocalisse climatica è qui. Lo sanno bene gli abitanti di Lytton, l’hanno compreso i cittadini del villaggio di Schuld e di tutta la Renania-Palatinato, l’hanno capito da tempo gli abitanti di un’Italia flagellata dagli eventi meteo estremi.
L’apocalisse climatica, e i fatti dimostrano che non c’è nulla di esagerato nell’uso di tale termine, è sotto gli occhi di tutti, colpisce duro, miete vittime, è conseguenza di una delle più grandi crisi che l’uomo abbia mai conosciuto. Eppure sembra non destare preoccupazioni eccessive in chi dovrebbe affrontare questa emergenza a nome e per conto dei cittadini. «La svolta Green dell’Ue è troppo rapida. Frenare il piano verde o sarà crisi»: le parole del Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti dimostrano ancora una volta tutta la cecità del mondo politico, tutta l’inadeguatezza di una classe dirigente fuori dal mondo, completamente distaccata dalla realtà dei fatti. In nome dell’economia abbiamo ferito il nostro Pianeta, in nome dell’economia rallentiamo i processi utili a rimediare ai danni fatti. In nome dell’economia l’essere umano si estinguerà.
Al Ministro Giorgetti e a tutti coloro che ostacolano la giustizia climatica in nome di una giustizia economica che nel sistema capitalista mai è esistita e mai esisterà, saranno dedicati tristi capitoli di storia in cui verranno ricordati come quelli che potevano ma non hanno voluto. Ai cittadini disinteressati, ai menefreghisti, agli ignavi, ai negazionisti, nessuna targa, nessun capitolo sui libri di storia, nessun ricordo, poiché proprio i cittadini disinteressati, menefreghisti, ignavi e negazionisti sono e saranno le prime vittime di un’apocalisse climatica che colpisce dove, come e quando vuole.
Alle future generazioni il compito di prendersi con la forza tutto ciò che le passate leve le hanno tolto, calpestato e che ora tengono in ostaggio. Il futuro della specie umana è adesso. Non è più il tempo del “delegare”, dello scaricare responsabilità individuali attraverso strumenti democratici quali il voto. Se votare è un dovere, per le nuove generazioni lo è ancor di più scendere in piazza, salire nelle aule consiliari dei Comuni di appartenenza, organizzarsi tagliando fuori tutti coloro che tengono in ostaggio il futuro in nome di una ripresa economia aleatoria, astratta, a tratti fantasiosa. Finito il tempo delle richieste, è giunto il tempo delle pretese.
«Mentre parliamo, se ne va il tempo geloso: cogli l’attimo, e non fare nessun affidamento sul domani»: nelle Odi di Orazio quel che oggi verrebbe definito dal mondo scientifico “policy making” per decisori politici. La nostra casa è in fiamme e stavolta l’acqua non verrà per salvarci. Occorreva agire decenni fa. Non è stato fatto. Occorre agire ora, eppure non stiamo cogliendo l’attimo, rimandando ancora una volta quel che andava fatto molto tempo fa. Intanto gli incendi e le alluvioni avanzano, distruggono, ammazzano, sommergono, sfollano.
I sedici giorni trascorsi tra i disastri che hanno colpito il Nord America e la Germania sud-occidentale evidenziano la necessità di un cambio radicale del modus operandi finora adottato dalla politica internazionale nei confronti della crisi climatica. Temporeggiare non è più un’opzione, agire non è più una scelta. I dati di fatto ci posizionano di fronte a un bivio: salvare il salvabile o subire tutte le sempre più gravi conseguenze di un’apocalisse climatica che le sole buone intenzioni non fermeranno di certo. A noi la scelta.
Marco Pisano