A Varsavia, il 10 giugno, le donne e gli uomini di Czarny Protest torneranno a manifestare per i loro diritti, sempre più minacciati dai provvedimenti del governo del PiS, il partito di Jarosław Kaczyński, che vede tra i suoi rappresentanti il presidente dalla repubblica Andrzej Duda e il primo ministro della Polonia Beata Szydło. Provvedimenti criticati dall’ombudsman Adam Bodnar.
Cosa porta a un nuovo episodio di Czarny Protest?
Quando nacquero, nell’ottobre del 2016, le proteste così chiamate, il PiS stava cercando di far passare una legge che avrebbe ristretto il già limitato diritto all’aborto. La protesta aveva funzionato, almeno momentaneamente, e il partito di Kaczyński era stato costretto a un brusco dietrofront. Nonostante ciò, era stato da subito chiaro, anche grazie ad alcune dichiarazioni dello stesso Kaczyński, che il PiS aveva intenzioni chiare riguardo ai diritti della donna. Così, quando il 14 febbraio di quest’anno è stata proposta una legge che rendeva la pillola del giorno dopo acquistabile soltanto se prescritta dal medico, in pochi si saranno sorpresi. Del resto, già nel 2014, Agata Pyzik definiva ciò che stava avvenendo in Polonia come una «sexual revolution in reverse», una «rivoluzione sessuale al contrario».
La questione della pillola del giorno dopo, però, rischia di essere la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.
Se l’aborto, infatti, è da sempre una questione che fa discutere, persino chi come Massimo Reichlin considera questa pratica immorale riconosce, nel suo “La morale oltre il diritto”, che «le conclusioni morali non possono essere immediatamente tradotte in soluzioni giuridiche: alla legge, infatti, non spetta canonizzare ciò che è moralmente giustificato vietando ciò che non lo è» (p.177) e auspica misure più permissive, anche per evitare l’aumentare di pericolose situazioni di illegalità.
In questo caso, però, il diritto che il partito di Kaczyński intende minare non si può nemmeno definire “diritto all’aborto”. Interrompere una gravidanza tramite l’uso di questo tipo di pillole non può essere paragonato neanche lontanamente a un aborto effettuato anche solo dopo due settimane. Come scrivono Smith e Brogaard (nella voce dedicata agli embrioni nel libro “Biblioetica“, edito da Einaudi), è solo con la gastrulazione (giorni 14-16) che «si formano i confini di un’entità coerente e separata» ed è solo in questa fase che «ci troviamo di fronte all’evento soglia che inaugura l’esistenza di un essere umano». Persino Reichlin non riesce a definire “aborto” questa pratica e usa il termine “microaborto” (sempre tenendo in mente che Reichlin stesso ci tiene a separare la morale dalle pratiche legislative).
Del resto, Kaczyński e i suoi legislatori sembrano sapere quanto possa essere rischioso eliminare totalmente il diritto all’accesso alla pillola del giorno dopo in Polonia. Ciò che fanno nella loro legge (approvata dal Sejm, la camera bassa, il 25 maggio) è solo rendere molto difficile per una donna polacca procurarsi la pillola.
Di questo si è lamentato Adam Bodnar, il portavoce dei diritti civili, in una lettera del 20 febbraio al ministro della salute Konstanty Radziwiłł. Se Radziwiłł sostiene che la pillola del giorno dopo può essere pericolosa per la donna, Bodnar riporta che l’Agenzia europea per i medicinali ha definito EllaOne come non soggetto a prescrizione medica.
Tra le altre cose, Bodnar sottolinea come il dover andare dal proprio ginecologo per poter accedere alla pillola del giorno dopo rischi di rendere infine inutile l’assunzione della pillola. Infatti, secondo i dati riportati da Bodnar, in Polonia il tempo medio di attesa è di 18 giorni, per arrivare a un massimo di 7 mesi. Che senso avrebbe, dunque, assumere dopo più di due settimane un medicinale come l’EllaOne, che deve essere preso entro 120 ore dal rapporto sessuale, o il Levonelle, che ha effetto solo se assunto entro 72 ore?
A questo, scrive Bodnar, bisogna aggiungere la possibilità del medico di ricorrere all’obiezione di coscienza (klauzula sumienia) e dunque impedire l’accesso della paziente al medicinale.
Difficile trovare un senso nella politica di Kaczyński e Radziwiłł, che pur tentando di eliminare il diritto all’aborto non cercano di mettere a disposizione il metodo contraccettivo più efficace di tutti: l’informazione. Per informazione si intende anche e soprattutto quell’educazione sessuale nelle scuole di cui, come scrive Bodnar nella sua lettera a Radziwiłł, non esistono dati affidabili circa le qualificazioni degli insegnanti e la comunicazione dei contenuti.
La Polonia diventerà uno dei Paesi europei nei quali per acquistare EllaOne è necessaria la ricetta. Secondo questa mappa, infatti, questo avviene solo in Lichtenstein, Bosnia, Lituania, Norvegia, Serbia, Turchia e Ungheria (senza considerare dove è illegale, come in Albania, Islanda, Estonia, Bielorussia, Macedonia, Moldavia, Ucraina e Russia).
La pillola e la stessa questione dell’aborto sono forse solo la punta dell’iceberg per quanto riguarda i danni direttamente o indirettamente causati dal governo di Kaczyński. Un dato significativo è il posto occupato dalla Polonia nella classifica relativa alla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere. A febbraio 2017 aveva già perduto 29 posizioni in un anno.
Parlando di libertà, però, la prima libertà è quella di poter disporre del proprio corpo. Come scrive Maurizio Mori nel suo “Aborto e morale”: «Una legislazione permissiva dell’aborto è una questione di diritti civili e umani». Nel caso polacco, sono proprio tali diritti ad essere violati, da un governo che pretende di controllare i corpi stessi delle proprie cittadine. Per questo Czarny Protest deve continuare. Per questo al di là del sesso e della nazionalità, ma semplicemente in quanto esseri umani padroni del proprio corpo, Czarny Protest riguarda tutti.
Luca Ventura