Quando pensiamo alla California o alle Hawaii la nostra mente ci proietta immediatamente lungo le coste di Malibù a Los Angeles o magari sul Golden Gate Bridge a San Francisco o, perché no, sulle paradisiache spiagge di Honolulu. Eppure proprio tra la California e le Hawaii nell’oceano Pacifico si trova uno degli spettacoli più orrendi a cui l’uomo abbia mai assistito e di cui lo stesso uomo è responsabile. Avevamo già parlato del grave problema legato alla plastica negli oceani. Le immagini scattate nel Mar dei Caraibi che ritraevano grandi chiazze di rifiuti plastici ci hanno fatto comprendere quanto sia dannosa per la natura questa nostra società dei consumi, questa nostra “democrazia del benessere”.
Come si formano queste grandi chiazze di spazzatura? L’accumulo d’immondizia negli oceani è dovuto dall’azione delle correnti oceaniche che formano enormi vortici (gyre) e che quindi permettono ai rifiuti di aggregarsi fra loro, formando così grandi isole come quella in foto. Secondo uno studio, redatto nel 2014 e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America negli oceani sono presenti cinque enormi isole di spazzatura formate appunto dall’azione dei gyre presenti negli oceani ovvero nell’Atlantico del Nord, nell’Atlantico del Sud, nel Pacifico settentrionale, nel Pacifico meridionale e infine nell’Oceano Indiano.
Nel Pacifico settentrionale, luogo in cui l’azione del vento agisce sull’oceano dando vita a una corrente oceanica denominata North Pacific Gyre, la grande isola di plastica conosciuta come Great Pacific Garbage Patch (GPGP) si sta espandendo sempre di più. Secondo uno studio redatto dall’organizzazione no profit olandese Ocean Cleanup e pubblicato su Scientific Reports, la grande chiazza di rifiuti sopracitata è formata attualmente da “almeno 79 mila tonnellate di plastica” che galleggiano all’interno di un’area grande 1,6 milioni di chilometri quadrati. “Una cifra da quattro a sedici volte superiore a quella riportata in precedenza” si legge nel rapporto.
I dati contenuti nello studio sono allarmanti: la concentrazione dei rifiuti è passata da 400 gr/km² negli anni ’70 a 1,23 Kg/km² nel 2015. La plastica rappresenta il 99,9% dei rifiuti che formano quest’isola di cui il 46% è costituito da reti da pesca. Le microplastiche rappresentano invece l’8% della massa totale. E’ stato osservato che il GPGP “contiene un totale di 1,8 trilioni di pezzi di plastica costituiti da detriti classificati in 4 classi di dimensioni: microplastiche ( 0,05-0,5 cm), mesoplastica (0,5-5 cm), macroplastici (5-50 cm) e megaplastica (> 50 cm)“. Nel rapporto si legge: “Di questo totale, abbiamo stimato 1,7 trilioni di pezzi e 6.400 tonnellate di microplastiche, 56 miliardi di pezzi e 10 mila tonnellate di mesoplastica, 821 milioni di pezzi e 20 mila tonnellate di macroplastici e 3,2 milioni di pezzi e 42 mila tonnellate di megaplastici“.
Ad oggi il consumo medio annuo di plastica è stimato in 320 milioni di tonnellate di cui 8/13 milioni finiscono in mare. Ocean Cleanup afferma che ripulire il Great Pacific Garbage Patch tramite metodi convenzionali richiederebbe miliardi di dollari e migliaia di anni. Per questo motivo l’organizzazione olandese ha sviluppato sistemi passivi che si affidano alle correnti oceaniche naturali e che quindi non richiedono una fonte di energia esterna per catturare e concentrare la plastica. Questi sistemi, composti da galleggianti utili a concentrare la plastica, sono progettati per catturare piccole plastiche fino a 1 cm ma anche massicce reti da pesca di decine di metri di dimensione. Dal sito apprendiamo che:”I modelli mostrano che un roll-out completo del sistema di pulizia potrebbe ripulire il 50% del Great Pacific Garbage Patch in 5 anni” evitando così che la plastica si deteriori ulteriormente fino a diventare microplastica. Secondo l’organizzazione “combinando la pulizia con la riduzione della fonte sulla terraferma la strada verso un oceano libero di plastica nel 2050“.
Marco Pisano