Trattare di argomenti così delicati non è mai cosa facile. Oggi più che mai le parole sono importanti, e sappiamo che molte volte se ne fa abuso e si finisce per non ottenere i risultati che si speravano.

Dopo i bilanci dell’anno passato, solitamente vengono le speranze per quello futuro, i buoni propositi insomma. Questi infatti sono forse i giorni che dedichiamo di più a noi stessi, alle nostre sensazioni (positive o negative), speranze e ricordi. E i buoni propositi riguardano tutto, addirittura il calcio, che, anche se non sembra, occupa gran parte delle nostre vite, relegandoci a quelle piccole grandi gioie o delusioni che talvolta finiscono per prendere il posto anche di cose più importanti (fantallenatori e schedinari, mi rivolgo a voi).

In queste righe parleremo quindi di intenti, predisponendo un qualche piccolo (ma importante) passo in avanti che potrebbe finalmente concederci di vivere il calcio con serenità e passione. Ed è su quest’ultima che dovremmo interrogarci, non fosse altro che per le conseguenze che un’eccessiva e smisurata fede calcistica potrebbe comportare.

A tal proposito ci limitiamo qui a prendere in esempio un fatto di cronaca che a primo impatto potrebbe sembrarvi lontano, come una cosa non vostra, che non avete fatto voi, ma che soprattutto con l’anno nuovo potreste già aver riposto in un cassetto dimenticato della vostra memoria. Come biasimarvi.

Ovviamente parlo dell’ormai celebre Inter-Napoli (che è un fatto di ormai qualche giorno fa), e di quello che è successo dentro e fuori San Siro. Ci son state aggressioni e una persona è rimasta uccisa, ma questo è successo lontano dallo stadio. Non sarà stato sicuramente un risultato falsato a muovere un gruppo di persone armate contro un altro, perché tutto è avvenuto prima della partita. Ma una partita, quella sì che oggigiorno nasconde rivalità solo fino ad un certo punto ascrivibili al calcio, che contribuiscono senz’altro a minare un clima già teso di suo per questioni di campo. Tra l’altro, molte delle incompatibilità che legano le tifoserie nascono da contesti anche diversi dal pallone, e in quest’ultimo vi ci sono soltanto infiltrate e poi amplificate.

Comunque, i fatti di Milano non sono certo i primi che danno luce a questo lato sporco, malsano e a tratti criminale dello sport; per di più al razzismo, che è riuscito paradossalmente a prendere il largo anche nello sport più popolare al mondo (e a questo punto forse anche il più populista).

Tuttavia, sappiamo bene che situazioni del genere il più delle volte tendono a caldeggiare un clima ancor più teso e in buona misura opposto a quello che si vorrebbe creare con un provvedimento, o una dichiarazione importante. D’altronde, le notizie passano e i social media contribuiscono a diffonderle oltre misura, tanto che le personali visioni sulla vicenda di qualcuno diventano automaticamente nostre (che ci annoiamo anche a pensare di testa nostra).

Guardate che un’informazione ricevuta attraverso i canali sbagliati e recepita nel modo sbagliato può diventare letale e, in men che non si dica, far proliferare idee superficiali, ma soprattutto delle reazioni non idonee. Non esistono, infatti, popoli razzisti o tifoserie moralmente al di sopra di altre, come invece magari si crede. Per lo meno, non sarà certamente una partita di calcio a farci scoprire chi si comporta meglio di altri.

Immaginate, infatti, che tutto lo spam che un episodio del genere ha profuso online possa trasformarsi in una discussione a viso aperto tra le parti, stile talk show. Probabilmente di discusso avrebbe poco e niente (come i talk show, appunto), ma comunque dimostrerebbe che per ogni tifoso che ha fatto “buu” ce n’è un altro che dietro una tastiera ha fatto peggio, magari lanciando altri insulti. È chiaro chi sarebbe punibile e chi no, o quantomeno lo sarebbe se tappezzassimo gli stadi di telecamere per individuare i responsabili.


È sotto gli occhi di tutti, infatti, che all’alba del 2019 ci siano persone che con certe fedine penali a vedere una partita “rischino” addirittura di andarci senza problemi, e di avere pure una certa importanza nella curva o persino un peso sulle stesse società (una roba che chiamerei tranquillamente mafia calcistica). Altri allo stadio credono – ma soprattutto sanno – di poter fare quel che vogliono, per diventare così inconsapevoli portatori di comportamenti sbagliati. Allo stadio c’è adrenalina e si tende a seguire un po’ lo stesso principio del web, a fare ciò che fanno gli altri. Immaginate ad esempio un bambino che cresca sapendo che allo stadio i giocatori neri si fischiano, o che è più importante preoccuparsi di offendere la squadra avversaria che incitare la propria.

Quindi si parte con gli annunci dello speaker e qualche giocatore che si innervosisce, per poi passare alle multe alla società e finire con le curve chiuse. Zero incassi, niente di niente, e magari qualcuno che in tutta onestà avrà perso anche voglia di tornarci a vedere una partita.

Chiudere le curve o giocare a porte chiuse sono gesti molto responsabili e di enorme peso mediatico. Rappresentano soprattutto un monito verso ognuno di noi, che in questa come nelle prossime vicende non potremo per nulla dirci spettatori. Anzi. Ma i violenti negli stadi ci torneranno comunque. Fa parte della loro vita, di un loro particolare status quo che sono proprio vicende come questa ad esaltare e confermare.

Insomma, non sarebbe fantascienza attrezzarsi perché ognuno sia responsabile delle proprie azioni in un luogo pubblico e così delicato. E quanto a noi, a chi può e vuole, sarà meglio cambiare atteggiamento, peccare meno di invidia o di collera e ricordarsi che siamo solo spettatori (si augura divertiti) di quello che un tempo chiamavano “un gioco”. Un gioco molto sentito, che tutti vogliamo vincere, ma pur sempre tale. Togliete il calcio a chi non lo merita, perché a sensibilizzarci ci pensiamo da soli.

Nicola Puca

Fonte immagini in evidenza: lettera43

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