La “Capitale dell’infanzia” quest’anno è Scampia dove dal 15 al 17 Giugno si è tenuto il “Festival delle città bambine“. Si tratta di un evento nato nel 2020 che ha già coinvolto migliaia di bambini e genitori in più di 400 iniziative tra percorsi, laboratori, convegni e feste di quartiere. In vista dell’arrivo di circa 150 partecipanti provenienti da 10 regioni d’Italia, infatti, sono stati locati due alberghi ed una residenza religiosa in modo tale da garantire continuità a queste giornate formative. Il Festival è l’evento conclusivo del progetto nazionale “Ip Ip Urrà – Metodi e Strategie Informali per Mettere l’Infanzia Prima” che, avendo come obiettivo quello di contrastare la povertà educativa minorile, sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale. Attribuendo quindi alla famiglia, ma anche alla comunità, un ruolo principale per la crescita del bambino, l’evento prevede attività in grado di coinvolgere grandi e piccini, garantendo la partecipazione soprattutto a coloro che provengono da realtà difficili – come Scampia, uno dei quartieri più complessi di Napoli – che non sempre sono in possesso degli strumenti adeguati per far fronte alle esigenze di tutti.
L’evento, dunque, crea opportunità educative informali al fine favorire la creazione di una rete avvicinando persone nei parchi e nelle piazze, attribuendo valore al gioco considerato come la più sincera espressione del singolo così da far emergere potenzialità e possibili talenti dei bambini. Giornate importanti in cui viene creata una città a misura di bambino e in cui è l’adulto ad “adattarsi” al suo mondo, alle sue richieste, ai suoi bisogni.
Valerio Neri, direttore generale di Save the Children afferma che «Il nostro è un Paese in cui la povertà economica ed educativa dei genitori viene trasmessa ai figli, che a loro volta, da adulti, potrebbero essere a rischio povertà ed esclusione sociale. […] È un circolo vizioso che coinvolge e compromette il futuro di oltre un milione di bambini». Save the Children definisce infatti la povertà educativa come la “privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni di bambini e adolescenti”.
Questo impoverimento culturale è spesso dato dalle condizioni di vita frenetiche a cui siamo quotidianamente sottoposti ma, soprattutto nelle zone rionali e periferiche, anche dalla precarietà socio-economica. Ci troviamo di fronte ad un problema che non riguarda il singolo, bensì l’intero Paese. Un livello scolastico basso incide sulla quantità di informazioni e conoscenze che il bambino di oggi riporterà poi in futuro nelle interazioni col resto della società e del mondo. Sviluppare quindi progetti informali che coinvolgano anche le famiglie permette di diffondere opportunità preziose nell’ottica di un arricchimento reciproco.
“Leaving no one behind“, non lasciare nessuno indietro, è il motto dell’Agenda ONU 2030. Tutti siamo chiamati ad impegnarci affinché piazze, giardini e quartieri costituiscano il mattone più importante della lotta alla povertà educativa perché diventi importante agire e lavorare su più livelli favorendo uno scambio continuo e permanente tra famiglia, istituzioni scolastiche e comunità.
Aurora Molinari