Il lato sporco dell’industria automobilistica “green”
Minatori al lavoro nella Repubblica Democratica del Congo. Fonte: Wikimedia Commons

Con il Green Deal europeo l’Europa si è prefissata un ambizioso e nobile obiettivo: diventare il primo continente a mobilità green e neutrale dal punto di vista ambientale. Entro il 2035 si potranno vendere solo veicoli elettrici e ibridi. Senza mettere in dubbio la necessità – oggi più urgente che mai – di abbattere le emissioni inquinanti e trovare soluzioni concrete per combattere i cambiamenti climatici, le cui evidenze scientifiche hanno ormai superato qualsiasi tesi negazionista, l’articolo si pone l’obiettivo di mostrare il reale impatto ambientale e il costo umano della passaggio alla mobilità elettrica e della produzione industriale delle preziose materie minerarie che permettono il funzionamento di tutte le auto a emissioni zero presenti sul mercato.

Batterie al litio: il cuore dell’auto green composto da centinaia di kg di minerali

Ad oggi, gli unici veicoli ad emissioni zero sono le auto elettriche. A differenza dei veicoli con motore endotermico, i motori elettrici non sono alimentati da carburante ma da energia elettrica, che viene immagazzinata in una batteria. La batteria al litio-ione è il cuore pulsante e il componente fondamentale di tutti i veicoli elettrici e ibridi. Questo speciale accumulatore ha la capacità di convertire l’energia chimica in energia elettrica, in modo reversibile. Una volta generata, viene trasferita al motore e trasformata a sua volta in energia meccanica, che consente all’auto di muoversi.

Una batteria al litio pesa in media 500 kg ed è composta da moduli di celle – cosiddette unità di energia – che al loro interno contengono le materie attive. Litio, cobalto, nichel, rame, manganese. Sono questi i principali minerali preziosi che ne permettono il funzionamento e sui quali si basa la decarbonizzazione della mobilità futura.

Il 90% della filiera mondiale della produzione delle batterie al litio-ione è in mano alla Cina. Il colosso asiatico gestisce e controlla il processo produttivo delle celle e la fornitura delle materie minerarie presenti al loro interno. La quasi totalità dei preziosi metalli che alimentano l’intera industria automobilista green viene estratta e raffinata in Paesi dove la mano d’opera costa poco, non esiste sicurezza sul lavoro, né alcun tipo di tutela ambientale. Più del 60% del cobalto utilizzato per produrre le batterie della auto elettriche di tutto il mondo proviene dal Congo. Il nichel, meno costoso, dalla Cina e dal Sud Indonesia dove, solo nel 2023, sono state estratte e raffinate 178 milioni di tonnellate di minerale grezzo. L’obiettivo nazionale indonesiano da raggiungere nel 2024 è di 467 milioni di tonnellate.

In questi luoghi gli impianti di estrazione e lavorazione primaria hanno causato gravi disastri ambientali e centinaia di morti a causa di incidenti e di malattie legate alle diverse forme di inquinamento. Milioni di tonnellate di rifiuti tossici, centrali a carbone, deforestazione, falde acquifere e terreni contaminati, operai bruciati vivi, sfruttamento del lavoro minorile e vittime ambientali.

Il costo umano e ambientale della produzione di nichel indonesiano

L’inchiesta “Green hypocrisy” realizzata da Report ha denunciato senza mezzi termini il reale costo ambientale e umano della produzione del nichel, estratto e raffinato negli impianti situati nel sud dell’Indonesia, primo paese produttore al mondo di questo minerale. Le immagini e le testimonianze scioccanti mostrate nel servizio mostrano le diverse forme di devastazione ambientale provocate dall’estrazione e lavorazione del nichel e le condizioni disumane in cui lavorano gli operai degli stabilimenti e in cui vivono gli abitanti delle zone limitrofe agli impianti. Nelle fabbriche non esiste alcun tipo di sicurezza sul lavoro né di tutela ambientale. Ogni giorno si verificano incidenti mortali, come quello in cui ha perso una giovane lavoratrice bruciata viva a causa di un corto circuito.

Gli scarti industriali vengono interrati direttamente nel sottosuolo o stoccati a cielo aperto in aree soggette a frequenti alluvioni. Buona parte dei i fanghi tossici derivati dalla lavorazione nel nichel vengono riversati nell’oceano e nei fiumi. Nelle zone limitrofe agli impianti l’acqua ha assunto un colore rosso inteso e in alcuni tratti raggiunge temperature superiori ai 60 gradi. Flora e fauna locali sono devastate. L’odore del carbone ristagna nell’aria, che in alcune zone è diventata irrespirabile. La salute delle centinaia di migliaia di persone che vivono in prossimità delle aree produttive è compromessa: gli ospedali pubblici registrano ogni giorno un numero impressionate di infezioni polmonari e oculari. Le malattie legate all’inquinamento, i disastri e i morti ambientali sono destinati ad aumentare in parallelo all’incremento della richiesta di fornitura di nichel. Gli impianti si estendono in un’area di quasi un milione di ettari, di cui 600.000 sono stati disboscati e rubati alla foresta vergine. La lavorazione industriale richiede una quantità spaventosa di energia, prodotta esclusivamente dal carbone. Una tonnellata di nichel raffinato produce 1.5 tonnellate di rifiuti tossici.

Sgomberi forzati e nelle miniere di cobalto

La Repubblica del Congo possiede le più grandi riserve al mondo di cobalto e rame, minerali cruciali per la produzione delle auto elettriche ma anche per l’industria tecnologica. In una batteria al litio di un’auto elettrica sono presenti in media più di 13 kg di cobalto, in quella di un semplice smartphone circa 7 grammi. Secondo le stime attuali la domanda di cobalto raggiungerà entro il 2025 le 222.000 tonnellate annue.

La significativa espansione delle miniere avvenuta negli ultimi anni ha portato allo sgombero forzato di intere comunità, costrette ad abbandonare case e terreni agricoli rasi al suolo per far spazio ai progetti minerari. Amnesty International ha denunciato in diverse occasioni le condizioni disumane in cui lavorano i minatori congolesi, la violazione dei diritti umani subita dalla popolazioni locali e lo sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere. Nei territori orientali, il 65% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni lavora negli impianti con turni di 12 ore al giorno. L’Organizzazione ha lanciato una petizione per fermare gli sgomberi forzati, le violenze e i maltrattamenti delle comunità che vivono nelle aree limitrofe alle zone di estrazione.

I dati riportati in questo articolo evidenziano il paradosso, l’ipocrisia e l’ingiustizia, climatica e sociale, su cui si basa l’attuale produzione dei minerali cruciali per la decarbonizzazione della mobilità e per il funzionamento di tutti i veicoli elettrici e ibridi presenti sul mercato. Mostrano il prezzo ambientale e umano di ogni singolo suv elettrico alimentato da una batteria realizzata con centinaia di chili di minerali. Pagato dai paesi fornitori, dalle popolazioni locali, dagli operai che lavorano negli stabilimenti dall’altra parte del mondo e dall’ambiente stesso.

Martina Pietrograzia

Martina Pietrograzia
Redattrice e speaker radiofonico. Da sempre affascinata dal mondo della politica e dell'informazione, ho orientato i miei studi in questi due settori disciplinari conseguendo una prima laurea in Scienze politiche e relazioni internazionali e successivamente una laurea magistrale in Giornalismo, media a comunicazione digitale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui