Lo scioglimento del permafrost potrebbe liberare antichi virus
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Understanding and Responding to Global Health Security Risks from Microbial Threats in the Arctic: A Workshop“: è il titolo del seminario tenutosi nel 2019 tramite il quale la National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, l’InterAcademy Partnership e l’European Academies Science Advisory Committee hanno esaminato i dati esistenti e le lacune scientifiche riguardanti quello che potrebbe essere definito come il nuovo pericolo contro cui l’umanità si ritroverà presto a combattere. Esiste un pericolo legato a possibili futuri virus nocivi “liberati” dal progressivo e sempre più rapido scioglimento del permafrost e dei ghiacciai della regione Artica? Per rispondere esaustivamente a tale quesito bisogna tornare al non troppo lontano 2016, anno in cui sulla penisola dello Yamal, nella Russia siberiana nordoccidentale, si è verificato un incidente che ha allarmato gli scienziati russi.

Storia del permafrost e di 2.350 renne morte

Con il termine permafrost si indica una tipologia di suolo perennemente ghiacciato, incredibilmente sensibile ai cambiamenti climatici. Questo tipo di suolo, in italiano “permagelo”, ricopre circa 22,8 milioni di chilometri quadrati nell’emisfero settentrionale della Terra, più specificamente nelle regioni artiche del nostro Pianeta (Groenlandia, Siberia, Alaska, Cina settentrionale e Nord Europa) e ha uno spessore che varia da uno a 1500 metri. Sul permafrost sono state fondate nel tempo città come Jakutsk, Magadan, Norilsk. Agglomerati urbani che, a causa dello scioglimento del ghiaccio eterno (non più tanto eterno) rischiano letteralmente di sprofondare nel terreno su cui sono stati costruiti.

A questo grave problema si aggiunge un’ulteriore e ancor più grave preoccupazione legata alla crisi climatica. Lo scioglimento del permafrost infatti è causa del rilascio di milioni di tonnellate di gas serra, emissioni climalteranti che si aggiungono a quelle provocate dalle attività antropogeniche. Per l’Arctic Institute – Center for Circumpolar Security Studies «L’Artico si sta riscaldando più di due volte più velocemente della media globale. Il disgelo del permafrost contribuisce a un ciclo di feedback positivo che accelera ulteriormente il riscaldamento della Terra, rilasciando metano, che è un gas serra più potente del carbonio, direttamente nell’atmosfera e contribuendo alla diffusione di devastanti incendi nell’Artico». Come la foresta amazzonica, anche la regione artica, un tempo considerata come pozzo di carbonio, si sta trasformando in un emettitore di gas serra. Secondo i ricercatori, il permafrost contiene circa 1.700 miliardi di tonnellate di carbonio, una cifra quattro volte maggiore a quella riguardante le emissioni provocate dall’uomo dalla rivoluzione industriale ad oggi. Una bomba ad orologeria pronta a esplodere e a compromettere per sempre il clima della Terra e, di conseguenza, la vita degli organismi che la abitano, compresi gli esseri umani.

Ma le potenziali minacce per la società umana non finiscono qui. Nella penisola dello Yamal, in Russia, l’allevamento di renne rappresenta senza dubbio l’attività principale delle popolazioni locali. Ne 2016 le elevate temperature causarono un rapido scioglimento del permafrost. Il disgelo provocò la fuoriuscita del batterio Bacillus anthracis, il germe che genera l’infezione da antrace. Il propagarsi del virus fu limitato in tempi brevi, ma, nonostante gli sforzi, il batterio riuscì ad infettare 2650 renne e a ucciderne 2350 (con un tasso di mortalità pari all’88,67%). Appena un anno prima sulla rivista scientifica Nature fu pubblicato lo studio “Microbial ecology of the cryosphere: sea ice and glacial habitats”, un report grazie al quale i ricercatori scoprirono che gli habitat cosiddetti criosferici (le aree terrestri ricoperte da ghiaccio) contengono una quantità enorme di microrganismi attivi e molto diversi tra loro. Secondo lo studio «Il cambiamento climatico sta alterando la criosfera; si prevede che ciò porterà a cambiamenti nella distribuzione, nella composizione e nell’attività dei microrganismi adattati al freddo».

Nella penisola di Yamal l’allevamento di renne è l’attività principale dei Nenets, popolazione indigena della tundra siberiana.
Immagine di Ganimat Pashazade da Pexels

Virus congelati

Le prove scientifiche evidenziano un’importante differenza tra ghiaccio e permafrost. Secondo diversi studi i microbi presenti da millenni nel ghiaccio, seppur da non sottovalutare, non rappresentano un rischio serio per l’essere umano poiché i batteri capaci di infettare l’uomo non riuscirebbero a sopravvivere a temperature inferiori a quelle del nostro corpo. Al contrario del ghiaccio, il materiale organico che compone il permafrost rappresenta un terreno perfetto per la replicazione e la conservazione degli agenti patogeni. A confermarlo la scoperta di un “virus gigante” isolato dal permagelo circa 30.000 anni fa. Anche se questo agente patogeno non è in grado di infettare l’uomo, gli scienziati restano comunque in allerta. Non si esclude infatti la possibilità dell’emergenza di virus che nel passato hanno infettato sia l’uomo di Neanderthal che l’Homo di Denisova, un tempo residenti nell’area siberiana.

Per Jean-Michel Claverie, professore ordinario emerito di Genomica e Bioinformatica presso la Scuola di Medicina dell’Università di Aix-Marseille, le attività umane legate all’apertura di nuove miniere di carbone in Siberia e di conseguenza alla rimozione di strati di permafrost, potrebbe rappresentare un serio pericolo poiché «Non si sa cosa c’è lì». Per questo motivo i ricercatori concordano nell’affermare che si rende necessario un maggior controllo delle patologie presenti e future riguardanti la regione artica. Non sottovalutare il potenziale pericolo derivante dai virus contenuti e liberati a causa dello scioglimento del permafrost è il primo passo utile a scongiurare una nuova pandemia globale.

Marco Pisano

Marco Pisano
Sono Marco, un quasi trentenne appassionato di musica, lettura e agricoltura. Da tre e più anni mi occupo di difesa ambientale e, grazie a Libero Pensiero, torno a parlarne nello spazio concessomi. Anch'io come Andy Warhol "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare". Pace interiore!

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