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Come sarà l’Europa (in emergenza climatica) di Ursula von der Leyen

Come sarà l'Europa (in emergenza climatica) di Ursula von der Leyen
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L’Europa dichiara emergenza climatica: «Nella lotta ai cambiamenti climatici non c’è un minuto da perdere. Più in fretta l’Europa interverrà, meglio sarà per i nostri cittadini, la nostra competitività e la nostra prosperità». Queste le parole pronunciate dalla neoeletta presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il discorso di insediamento tenuto qualche settimana fa dinanzi alla seduta plenaria del Parlamento. L’impegno della rinnovata Commissione ad affrontare i problemi legati a clima e ambiente si concretizza in una innovativa strategia di crescita: il cosiddetto Green Deal europeo.

Per far fronte all’emergenza climatica, il Green Deal – parte integrante della politica europea per l’attuazione dell’Agenda 2030 e, più in generale, degli obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dalle Nazioni Unite – intende realizzare una trasformazione della società affinché questa diventi più giusta e prospera e, soprattutto, si doti di un’economia moderna, competitiva ed efficiente. Un’economia che si caratterizza per l’impegno a ridurre del 55% (rispetto al 1990) le emissioni di gas serra per diventare climaticamente neutrale entro il 2050 e in cui la crescita si dissocerà progressivamente dall’uso delle risorse. Affinché questo sia effettivamente realizzabile si rende necessario ripensare le politiche attuate dall’Unione in materia di industria, trasporti, infrastrutture, agricoltura, tassazione e prestazioni sociali. L’interdipendenza tra questi settori è infatti ciò che spesso impedisce, o quantomeno ostacola, l’attuazione degli obiettivi di sostenibilità.

Come spiega il report “L’ambiente in Europa: stato e prospettive nel 2020 (SOER 2020)”, pubblicato il 13 dicembre dall’Agenzia europea per l’Ambiente (AEA), il fattore che incide più negativamente sulla buona riuscita delle sfide ambientali e di sostenibilità che l’Europa si trova ad affrontare è rappresentato proprio dalla circostanza per cui esse risultano indissolubilmente connesse alle attività economiche e agli stili di vita. In altri termini, ciò che si sta affermando è che l’inquinamento e il degrado ambientale sono legati in modo assai complesso a quei sistemi sociali che forniscono ai cittadini europei mezzi primari come cibo, energia e mobilità. Da qui, come si legge nelle comunicazioni relative al Green Deal, la necessità di una strategia trasversale che favorisca politiche trasformative in ognuno dei settori menzionati, senza escludere – ma anzi favorendo – la possibilità di eventuali compromessi tra gli obiettivi di tipo economico, ambientale e sociale.

Come sarà l'Europa (in emergenza climatica) di Ursula von der Leyen
Fonte: YouTube di EURACTIV

Ma è davvero la strategia giusta quella che punta a contrastare l’emergenza climatica in atto scendendo a compromessi? E, soprattutto, la sostenibilità può davvero procedere di pari passo con un modello economico che fonda la propria forza su categorie e concetti a cui si tende ad associare aprioristicamente significati positivi o negativi?

Secondo il report di cui si è detto la risposta sembrerebbe essere affermativa. Infatti, sebbene il presente non sia certo roseo (né tantomeno verde), è ancora possibile invertire la rotta verso un ambiente sano e un mondo più equo e sostenibile. E proprio l’Unione Europea è chiamata a compiere gli sforzi maggiori per realizzare questa transizione, perché, come sostiene la presidente von der Leyen, «abbiamo il dovere di agire e il potere di assumere la guida. […] Il mondo ha più che mai bisogno della nostra leadership. […] Possiamo dare forma a un ordine mondiale migliore». E ciò che consentirà all’Unione Europea di rispettare l’impegno assunto e di dar vita a un futuro del quale essere fieri è l’attuazione del Green Deal.

Ma si sa, non è tutto oro ciò che luccica, così come non è tutto ecofriendly ciò che è green. A farlo notare è Greenpeace, che sottolinea come basta guardare oltre i titoli del programma per vedere che le misure proposte sono deboli e parziali, se non del tutto inconcludenti. Per protestare contro un provvedimento ritenuto incapace di far fronte alla crisi climatica, gli attivisti di Greenpeace hanno simbolicamente portato l’emergenza climatica a Bruxelles, sede del potere politico europeo. Qui, nella prima decade di dicembre, 28 attivisti si sono arrampicati sul palazzo del Consiglio e lo hanno avvolto con gigantesche immagini di fiamme. Nuvole di fumo e allarme antincendio hanno contribuito a rendere la scena ancor più evocativa. L’esposizione di un banner con la scritta “climate emergency” ha completato l’azione di protesta. Il messaggio è chiaro: non basta dichiarare lo stato di emergenza se poi non si pongono in essere provvedimenti concreti che scardinano le basi di un sistema economico che ha favorito, incontrastato per decenni, distruzione ambientale, inquinamento e sfruttamento delle persone.

«Il mondo è in fiamme e i nostri governi lo stanno lasciando bruciare. Non basta che si impegnino a favore di un’Ue neutrale dal punto di vista climatico nel 2050, quando i leader che si riuniscono oggi a Bruxelles avranno ormai lasciato le proprie cariche», dichiara il direttore di Greenpeace Eu, Jorgo Riss. «Quello che conta», continua Riss, «è l’azione urgente che intraprendono oggi mentre sono al potere. L’European Green Deal è un punto di partenza, ma i governi devono andare oltre. Ciò significa concordare un obiettivo Ue per le emissioni nel 2030 che sia in linea con la scienza, nonché porre fine ai sussidi per le imprese di combustibili fossili, passare velocemente al 100% di energia rinnovabile, investire in trasporti sostenibili e nel risparmio energetico, ripristinare il nostro ambiente, le foreste e gli oceani».

Il punto più critico resta quello relativo alle emissioni. Sulla base di quanto previsto dall’Accordo di Parigi, per scongiurare l’irreversibile aggravamento della crisi climatica, gli Stati sono tenuti ad adottare tutte quelle misure utili al fine di limitare il riscaldamento globale entro i 2°C di aumento medio, ancor meglio entro 1,5°C. L’impegno attualmente assunto dall’Unione, tuttavia, comporterebbe – secondo un rapporto ONU – un aumento di ben 3°C. Da qui l’istanza che l’organizzazione ambientalista rivolge all’Ue: ridurre le emissioni di gas serra del 65% (rispetto alle quote del 1990) entro il 2030. Ecco, questo potrebbe essere uno dei buoni propositi per il nuovo anno, di quelli però che non semplicemente si formulano, ma che si mettono anche in pratica. Perché di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. E sarebbe meglio evitare di raggiungere, a forza di surriscaldamento, anche qui sulla Terra quelle temperature.

Se quella di Greenpeace resterà una richiesta inascoltata nessuno può dirlo per il momento, ma una cosa è certa: se non si verifica una rapida inversione di tendenza, il collasso climatico diventerà inevitabile e non ci sarà provvedimento green capace di salvarci dal baratro.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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