Un portale di significati stratificati, capace di immetterci nello spazio liminale tra le trasparenze e gli spasmi impercettibili dell’essere: è così che si configura la poesia di Sonnologie, l’ultima raccolta della scrittrice e conduttrice radio e tv Lidia Riviello, presentata anche a Napoli, al caffè letterario ‘Il tempo delle rose e del vino’, lo scorso 23 novembre.
Pubblicato quest’anno, presso la casa editrice Zona, il libro si presenta come un insieme di canti, atti di scena, proiezioni di immagini e frammenti di vita che vengono messi su carta così come potrebbero esser stati sognati, tra guizzi di consapevolezza e vuoti che sono parole del silenzio. Sperimentale ed innovativo dal punto di vista metrico e linguistico, Sonnologie si nutre di accostamenti insoliti, che di certo disorientano, ma che ci invitano a destarci, a liberarci da quei luoghi comuni di cui siamo inerti prigionieri.
Abbiamo parlato proprio con Lidia per meglio capire questi versi così suggestivi e che, talvolta, suonano inquietanti con i loro richiami alla condizione di regressione dell’uomo in uno stato di sonno ad occhi aperti, privi di bagliori.
Il tema del sonno, a cui rimanda il titolo della sua raccolta, costituisce fin dai tempi antichi oggetto di poesia, tanto da attraversare le opere di grandi autori come Shakespeare e Pessoa. Lei come ha deciso di reinterpretarlo?
La mia rappresentazione o esposizione del sonno ha origine dal mio trasporto verso la cultura visiva, la filosofia delle immagini, delle icone, i segni visivi, ma anche dalla lettura di trattati di filosofia politica, di economia, di storia della pubblicità, di nuove tecnologie e da certa fantascienza. L’arte contemporanea, il cinema, il video, il teatro hanno condizionato da sempre le mie diverse ‘scritture’ tanto da muoverle in direzioni diverse. Il sonno di Sonnologie può essere interpretato come un ‘trattato’ sociologico epocale così come lo legge Emanuele Zinato nella sua nota introduttiva o come continua reificazione di una figura che è sì, quella del sonno, da archetipo a super eroe, da tabu contenitore di diversi livelli di parti, quadri, scene, intervalli, atti. Questi moduli o questi epigrammatici lacerti che metto in forma anche prosastica, sono rivolti a confondere piani e generi in quella struttura ambigua di cui accenna Nanni Balestrini. Intendevo fare assumere al sonno un ruolo critico e emblematico del nostro stato delle cose attuali.
Qual è stata la sua principale fonte d’ispirazione?
Le fonti, come accennavo, sono di origine ‘non controllata’ intendo dire che sono il risultato di talmente tante sovrapposizioni, raccolta di materiali stratificati nel tempo che non posso individuare fonti principali. Devo però citare delle opere, delle ‘apparizioni’, delle incisive presenze che hanno indubbiamente influenzato, anche se ad una prima e a successive scritture questa influenza non si trova in ‘Sonnologie’. Da Jonathan Crary, autore di ‘ 24/7 Il Capitalismo all’assalto del sonno’, ad Armando Punzo e a tutta la sua opera e ricerca di impareggiabile rinnovamento del linguaggio e della cultura teatrale, al cinema ‘vintage’ di alcuni autori da sempre riferimenti come Cronenberg o Herzog fino a certe riletture di testi incisivi come ‘La macchina mondiale’ di Paolo Volponi o ‘Si riparano bambole’ di Antonio Pezzuto. Fino ad una contemporaneità letteraria prossima e cogente che anche quando non m’interessa, resta su una superficie galvanizzante.
La società attuale, seppur frenetica e impegnata a fare giri continui su se stessa, pare vivere — così’ come si evince pure dai versi di Sonnologie — un sonno profondo e perenne a livello sociale, culturale ed umano. In che modo pensa che la poesia possa trovar spazio in un mondo così tanto intorpidito?
Non credo che il ‘sonno sociale’ sia più un mostro, uno spauracchio, un totem che divide la veglia dall’insonnia, il sonno coatto dal rem. Sicuramente vi sono sonni indotti come veglie programmate. Penso al titolo della mostra The missing hour dell’artista e ricercatore Danilo Correale che prende il titolo da una ricerca in cui si calcola che dalla seconda rivoluzione industriale ai giorni nostri la società occidentale ha perso circa un’ora di sonno. Quest’ultimo è uno degli studi che sta contribuendo ad ampliare e proseguire la mia ricerca. Comunque quello che m’interessa continuare a indagare è proprio il sonno come punto di accesso e ingresso verso le più diverse problematiche: linguistiche in primis e poi filosofiche, politiche, scientifiche, estetiche, economiche. La poesia, questo linguaggio così radicalmente ‘in perdita’ trova sempre uno spazio laterale e trasversale, critico.
Foto di Angelo J. Zanecchia
Anna Gilda Scafaro