Giovanni Nuti, un invito alla gioia a tempo di swing
Foto di Francesco Prandoni

Otto musicisti e un interprete d’eccezione, canto, ballo e poesia: ecco gli ingredienti magici del coinvolgente spettacolo che porta la firma di Giovanni Nuti, capace di far “spettinare” anche lo spettatore più composto. Lo swing incalza, libera, incita alla danza, il teatro si anima, si infiamma. Immagini di un’Italia lontana, parole di un tempo che fu, in grado di raccontarci chi siamo con uno sguardo divertito, seppur ammantato dalla nostalgia della distanza.

È lo stesso Giovanni Nuti, musicista e cantautore da anni impegnato in travolgenti tournée teatrali, in cui propone brani estratti dai suoi dischi, a parlarci di uno dei suoi lavori cardine, “Vivere senza malinconia“, album dedicato ai brani del repertorio italiano degli anni Trenta e Quaranta, con in più due perle di pura poesia.

“Vivere senza malinconia”, un titolo decisamente dicotomico per un disco che propone brani dei bei tempi andati. Come nasce uno degli album di spicco di Giovanni Nuti?

«L’idea nacque da un invito che mi fece un festival jazz di Milano. In quell’occasione, dovendo pensare a un repertorio particolare, mi vennero in mente le canzoni degli anni Trenta e Quaranta. La mia musa ispiratrice Alda Merini, con la quale ho avuto un rapporto artistico durato ben sedici anni, soleva cantarmi questi pezzi da novanta al telefono; ho, quindi, pensato di reinterpretarli in chiave swing. Quella serata fu un grandissimo successo, del tutto inaspettato, dato che era la prima volta che cantavo brani non miei, ma di altri. Mi sono scoperto interprete, la cosa mi è piaciuta: mi ha arricchito e sorpreso; anche il pubblico più giovane si è davvero divertito e, allo stesso tempo, incuriosito. Fare un disco che rivisitasse queste perle del nostro passato ha rappresentato un’occasione di recupero storico e culturale. È importante in un’epoca come la nostra volgere lo sguardo al tempo che fu, nella fattispecie riflettere su anni difficili per il nostro Paese, come lo sono stati quelli in cui furono scritti questi brani.»

Signor Nuti, quali parallelismi ha colto tra la società italiana di quegli anni e l’attuale e, ancor di più, quali differenze?

«Uno dei motivi che mi hanno spinto a realizzare questo album è proprio il fatto che gli anni Trenta e Quaranta sono stati per l’Italia un’epoca molto difficile, di incertezze, dolori; nonostante ciò, o forse a causa delle difficoltà reali che il Paese viveva, gli italiani sentivano un forte bisogno di leggerezza, di evasione, di vivere senza malinconia. Spesso, quando l’uomo si trova davanti alle difficoltà, riscopre la facoltà di attingere alla propria parte positiva, ottimista. Questa capacità di ricercare, comunque, la gioia deve essere trasferita ai giorni nostri: viviamo in un’era complessa, non solo dal punto di vista economico, ma, soprattutto, da quello morale. In questo contesto, brani di evasione, che affondano le radici nel nostro passato, possono essere per certi versi “terapeutici”. Più ci si sofferma su situazioni negative intrisi di animo negativo, più si rimane fermi e intrappolati nell’improduttività.»

Nell’album di Giovanni Nuti anche due inediti, due brani dedicati ad Alda Merini, sua musa ispiratrice di arte e di vita. Qual è la genesi di questi lavori?

«Mentre facevano le prove dei brani degli anni Trenta e Quaranta, provai ad intonare due liriche di Alda. Fu subito evidente che sembravano nate per essere ammantate di questa veste.»

Quali cambiamenti ha avvertito nel suo lavoro compositivo, ma anche nel suo atteggiamento mentale dopo la scomparsa della Poetessa?

«Non posso dire di aver avvertito un vero e proprio cambiamento. Di sicuro mi manca molto la sua presenza fisica, la sua compagnia. La sua presenza spirituale è, perennemente, con me, la sento sempre al mio fianco. Ho incentrato diversi album sui testi che Alda Merini mi ha lasciato, affinché li musicassi: devo riconoscere che tutto succede come quando lei era in vita, con la stessa facilità e spontaneità. Ritengo che lei ci sia costantemente, che mi segua dall’alto.»

Qual è la più grande eredità che Alda Merini ha lasciato al suo grande amico musicista Giovanni Nuti?

«La gioia! Nonostante lei abbia attraversato, senza scontri, il tunnel della sofferenza è sempre andata controcorrente. Alda era solita dire che non si era fatta mai mancare nulla. Effettivamente, era una donna come poche, capace di divorare ed assimilare tutto, anche il dolore. Mi ha insegnato la necessità di guardare in faccia la realtà, di affrontare anche i momenti più bui. La sua maggiore lezione di vita è stata quella di osservare il mondo con gli occhi della poesia, unico mezzo per trasformare ogni cosa in un qualcosa di positivo.»

Qual è, secondo il parere di Giovanni Nuti, il rapporto tra la depressione e la produzione artistica?

«Io sono passato sia attraverso il dolore che attraverso la gioia. Credo che, a livello creativo, per un musicista siano entrambi fondamentali. Spesso e volentieri si sente circolare il pregiudizio secondo cui, quando una persona soffre, riversa nella creatività maggiore intensità; questo non è sempre vero, quantomeno non è un paradigma assoluto. Personalmente, quando sono nella gioia sono più connesso alla mia fonte creativa.»

Vincenzo Nicoletti

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