Il 29 agosto scorso, nel sobborgo di Needer-Over-Heembeek – zona nord della capitale – sono state fermate, ma successivamente rilasciate, cinque persone accusate di aver provocato un incendio presso l’Istituto nazionale di criminologia di Bruxelles.
Secondo gli inquirenti, i cinque avrebbero dovuto essersi introdotti all’interno dei laboratori dove venivano conservati potenziali mezzi di prova utili alle varie indagini in corso d’opera, andati in gran parte distrutti a causa dell’incendio.
Questo probabilmente era l’obiettivo dei criminali, determinati ad incenerire gli indizi di un reato piuttosto che a mettere in pratica un atto di terrorismo, come all’inizio ipotizzato da alcuni.
Tale impostazione è stata suffragata dal procuratore di Bruxelles, Ine Van Wymersch, che all’agenzia Associated Press ha dichiarato che «il terrorismo probabilmente non c’entra, si tratta di un’azione della criminalità organizzata».
Il condizionale è tuttavia d’obbligo, soprattutto quando si parla di fatti svoltisi in quella zona d’Europa, teatro recente di sanguinosi episodi di matrice terroristica. Senza contare che è proprio da quel quartiere, Needer-Over-Heembeek, che proveniva Bilaé Hadfi, uno degli attentatori dello scorso novembre allo Stade de France.
La prudenza, dunque, non è mai troppa, anche se questa volta tutto farebbe pensare ad un atto di malavita “al dettaglio” anziché all’opera di un’organizzazione ramificata e sorretta da motivazioni politico-religiose.
Una delle ragioni che fa propendere per tale soluzione è rappresentata dal fatto che questo incendio, appiccato a notte fonda, ha sì provocato numerosi danni all’edificio oltre che ai reperti in esso conservati, ma non ha fatto registrare vittime, perché all’interno dell’Istituto di criminologia a quell’ora non c’era nessuno.
Più facile supporre, a questo punto, che dei criminali particolarmente ardimentosi – o disperati, dipende dalla prospettiva – abbiamo voluto compiere un’azione estrema con l’intento di “cancellare dossier giudiziari a loro carico”, così come suggerito dalla Procura locale.
Come accennato in apertura, i primi sospettati sono stati rilasciati, pertanto il reato non ha ancora un reo.
Non si può neanche dire che la criminalità organizzata sia un problema minore o meno urgente dei terroristi, ma dopo tutto ciò che gli abitanti di Bruxelles hanno passato, non ci sorprenderemmo se il sentore comune rivelasse il contrario.
In un altro momento, in un’epoca diversa, l’episodio stesso sarebbe probabilmente passato in cavalleria dopo poche settimane. Ma oggi no: il Belgio si sente, se non in guerra, quantomeno minacciato da una potenza esterna e inafferrabile, che muta la propria pelle come fosse un mortifero camaleonte.
L’incendio di Needer-Over-Heembeek, forse, è stato un falso allarme, ma nella confusione generale il livello di allerta rimane ai massimi storici.
Carlo Rombolà