«I popoli incontattati non sono reliquie primitive di un passato remoto destinate all’assimilazione o all’estinzione: vivono nel presente, sono nostri contemporanei; si sono evoluti secondo paradigmi diversi dai nostri». Queste parole, pronunciate dalla direttrice di Survival International Italia, Francesca Casella, racchiudono il senso più profondo della Uncontacted Tribes Week, la settimana internazionale per i diritti dei popoli incontattati.
Con quest’ultima espressione ci si riferisce a quei popoli tribali che evitano il contatto con gli esterni. Nel mondo si contano almeno 150 tribù incontattate, la maggior parte delle quali vive nel bacino amazzonico, difendendo la foresta e custodendone la biodiversità. Senza la loro presenza, il più grande polmone verde del pianeta sarebbe infatti destinato a soccombere a causa dello sfruttamento smodato delle risorse naturali da parte del mondo industrializzato.
Il ruolo di guardiani della foresta, svolto senza gloria né riconoscimento dai popoli incontattati, li espone alla violenza genocida di attori esterni, interessati per ragioni economiche ad appropriarsi della loro terra. Ma non sono solo armi e intimidazioni fisiche a minacciare i membri di queste tribù. Dal contatto forzato, infatti, dipende anche la diffusione di malattie che, solo in apparenza banali, possono in realtà decimare i popoli incontattati, privi di difese immunitarie adeguate.
Da qui la necessità – a cui ha risposto Survival International – di istituire una settimana internazionale di sensibilizzazione e mobilitazione per i diritti dei popoli incontattati, con lo scopo di portare al centro dell’attenzione pubblica la tragica sorte a cui stiamo condannando questa parte di popolazione. In particolare, durante la mobilitazione internazionale svoltasi dal 17 al 23 giugno, Survival ha sottolineato la criticità della condizione del popolo Mashco Piro in Perù, degli Shompen in India, dei Kawahiva in Brasile e degli Hongana Manyawa in Indonesia. Proprio questi ultimi sono stati protagonisti di un video divenuto di recente virale, in cui si vedono alcuni membri della tribù uscire dalla foresta per chiedere cibo ai minatori che lavorano nella loro terra.
Sebbene questo gesto sia stato letto da qualcuno come desiderio di contatto da parte degli Hongana Manyawa, Survival International ha prontamente provveduto a smentire questa interpretazione, evidenziando la problematicità di un simile episodio, riconducibile piuttosto all’impossibilità di cacciare. Infatti l’estrazione del nichel, utilizzato per la produzione delle batterie delle auto elettriche, sta distruggendo rapidamente la foresta, impedendo – o comunque limitando – le attività di caccia del popolo che la abita e mettendo quindi a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Ecco perché Survival ha etichettato come “contatto forzato” questo episodio, negando categoricamente che possa essere invece espressione di un consenso all’incontro.
A seguito della diffusione del video, uno dei politici più influenti dell’Indonesia, il Presidente del Senato ha affermato che il governo del paese dovrebbe intervenire immediatamente per fornire protezione alla tribù indigena. Tuttavia, più che di una forma di protezione che rischia di assumere le sembianze dei modelli di conservazione – che già di per sé comportano l’esclusione delle comunità locali – i popoli incontattati avrebbero bisogno di maggior rispetto e solidarietà.
Questo perché i Mashco Piro, gli Shompen, i Kawahiva e gli Hongana Manyawa non sono solo vittime di uno sviluppo sfrenato e irresponsabile, ma anche simboli di resistenza e adattamento. La loro battaglia per la sopravvivenza ci ricorda quotidianamente l’importanza di adottare un modello di sviluppo sostenibile e rispettoso delle diversità culturali e naturali.
Virgilia De Cicco