Che lo sport possa fungere da collante sociale è ormai ampiamente risaputo: attraverso la pratica delle discipline sportive di più varia natura si consolidano benefici individuali e collettivi, che vanno dalla formazione di uno spirito di squadra alla propensione al sacrificio, alla disciplina interiore fino al rigore etico e morale.

E ciò diventa tanto più vero se distogliamo il pensiero dalle grandi realtà del panorama nazionale e mondiale, dove gli atleti finiscono per assurgere a vere e proprie icone, e spesso il flusso di denaro diventa l’ostacolo maggiore alla salvaguardia di quei sani valori a cui accennavamo prima. Competizioni come i Mondiali o le Olimpiadi, se da un lato riuniscono i cinque continenti e una folla di pubblico di proporzioni immani, dall’altra risultano troppo distanti, nella loro competitività estrema, dalle piccole concretezze della realtà quotidiana.

È per questo che bisogna “scendere” in strada, nei campetti di allenamento, nelle strutture comunali, per trovare un’applicazione piena e perché no, scevra da vincoli oppressivi della disciplina sportiva in tutte le sue forme. Un’occasione per mantenere il corpo sano, ma anche per abbattere le barriere di ogni tipo che ci distanziano e differenziano.

Un esempio che ci è offerto dall’associazione Dromos, piccola realtà della podistica nata e cresciuta nella periferia nord di Napoli che da diversi anni si dedica al running su strada attraverso la presenza e l’impegno di decine di atleti campani. Come si può facilmente intuire, per quanto organizzare una realtà associativa non sia un passatempo da prendere a cuor leggero (esistono comunque delle federazioni a cui aderire e delle regole da rispettare), è in questo tipo di pratica che è possibile riscontrare da vicino, toccare con mano il ruolo sociale che lo sport svolge nei territori, molto più di una squadra di serie A o di un campionato olimpico.

«Alla Dromos non esistono categorie né competizioni: tutti sono ben accetti», ci raccontano, «e le differenze sono solo un motivo per continuare a migliorarsi. Possono partecipare atleti di ogni età, sesso ed esperienza. Il più bravo aiuta l’ultimo arrivato e così via. Non lo facciamo per collezionare trofei e coppe, ma soltanto per stare bene e divertirci insieme, crescere e migliorare di continuo».

E non è detto che ciò non possa accadere davvero, come dimostrano le partecipazioni degli atleti ad alcune fra le più importanti gare podistiche del circuito internazionale: da Roma a Firenze fino a Lugano e New York, passando per tappe storiche e ricche di fascino come la Sei Ore dei Templari di Banzi. Un mondo in grado di avvicinare anche i più inesperti o i semplici curiosi, poiché non richiede particolare attrezzatura; con un buon paio di scarpe e tanta forza di volontà è possibile imparare a riconoscere e superare i propri limiti giorno dopo giorno.

Ma c’è dell’altro, ed è giusto sottolinearlo. Chi pratica uno sport sa bene a quali generi di problematiche va incontro chi per un motivo o un altro è costretto a confrontarsi con carenze strutturali, barriere architettoniche, scarsa attenzione delle istituzioni o l’ostracismo di quella parte di opinione pubblica che vede sprechi e fastidi dappertutto.

«La soluzione ideale non esiste», ci dicono, «anche perché spesso le piccole realtà come le nostre non hanno i mezzi per sopperire concretamente a questo genere di mancanze. Quello che è possibile fare è adattarsi al materiale disponibile e sensibilizzare ad una maggiore tutela in tal senso. Un risultato che si raggiunge sia grazie alle amministrazioni locali, sia a un corretto insegnamento alla cittadinanza del valore e dell’importanza dello sport e del rispetto che gli atleti meriterebbero!».

Equivale a dire che, a volte, i traguardi più importanti non si tagliano come un nastro, ma si costruiscono come un gruppo. Attraverso la costanza, la pazienza e l’abnegazione.

Pamela Valerio

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