La questione dei vaccini, iniziata con il varo del decreto legge a firma Lorenzin del mese scorso, continua a sollevare polemiche in Italia. Il dibattito, però, verte non soltanto attorno all’utilità – o pericolosità – dei vaccini in sé e per sé, ma anche attorno ai modi in cui questa legge è stata fatta passare.
Genitori e associazioni si sono mobilitati in una lunga lista di eventi nella penisola per rifiutare non solo l’obbligo dei vaccini, ma quella che è a tutti gli effetti un’imposizione dall’alto e che da alcuni è stata anche chiamata «fascismo sanitario».
Da un giorno all’altro, infatti, senza alcun dibattito parlamentare né confronto con l’opinione pubblica, il governo ha varato un decreto legge sull’obbligo vaccinale, aumentando il numero dei vaccini obbligatori da 4 a 12 e istituendo delle pesanti sanzioni per i genitori non adempienti.
Il decreto legge è, nello specifico, «un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità e urgenza dal Governo» e che deve essere convertito in legge entro 60 giorni.
Salta immediatamente agli occhi, quindi, la sproporzione fra i modi in cui il decreto legge sui vaccini è passato e la situazione interna italiana, che al momento non sta vivendo un’emergenza nazionale dal punto di vista epidemiologico: «Ad eccezione della profilassi antimorbillo, per cui ha basi scientifiche puntare al 95% della copertura», spiega in un comunicato la Rete Sostenibilità e Salute, che raccoglie 25 associazioni del campo, «per altri vaccini non si vedono al momento condizioni di emergenza né di urgenza tali da giustificare l’adozione di provvedimenti coercitivi».
L’utilizzo di un decreto legge, come quello del decreto Lorenzin, sarebbe stato quindi giustificato alla presenza di un’epidemia o di un rischio concreto per la popolazione.
«L’arroganza di una classe politica e medica che pensa di intervenire con nuove e più forti costrizioni anziché con un vero consenso informato su trattamenti sanitari, come i vaccini e non solo, determina una deriva e una riduzione della democrazia e della scienza», ha dichiarato a tal proposito Piergiorgio Duca, il presidente di Medicina Democratica, in un comunicato stampa dell’associazione, ribadendo l’importante ruolo del sistema informativo in campo medico-sanitario.
Al di là delle posizioni estreme, infatti, ciò che le associazioni e i movimenti contrari al decreto Lorenzin reclamano è la possibilità di scegliere consapevolmente e in libertà, senza dover sottoporre i propri figli ad una profilassi vaccinale massiccia in tempi stretti per poterli mandare a scuola.
A tal proposito, è stato tirato in ballo un rapporto di Eurosurveillance del 2010, commissionato e finanziato dall’European Centre for Disease Prevention and Control, che mostra come paesi comunemente considerati “avanti” in Europa – la Germania, la Danimarca, l’Olanda – non presentino alcuna vaccinazione obbligatoria, ma soltanto raccomandata.
Ciò è possibile perché in questi paesi esiste un consenso informato che porta i cittadini a vaccinare spontaneamente i propri figli, dopo averne compreso l’utilità: «Perché in Italia le vaccinazioni sono obbligatorie e altrove no? La risposta è molto semplice: perché altrove non sono così stupidi da non vaccinare i loro figli», ha scritto su Facebook Roberto Burioni, il virologo dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, principale sostenitore della profilassi vaccinale obbligatoria. L’Italia, infatti, dopo l’Austria, ha il tasso di vaccinazione più basso in Europa per morbillo e difterite, pertosse e tetano. Numeri, questi, su cui è giusto e necessario discutere.
Ai cittadini italiani, però, non è stata data la possibilità di informarsi e dibattere su un tema così importante, in cui la responsabilità del genitore deve essere creata, non imposta a suon di decreti legge. Imposizione che tra l’altro si rivela classista: soltanto i genitori che “possono permetterselo”, infatti, potranno evadere l’obbligo, pagando una scuola privata per i loro figli o le possibili sanzioni in cui incorrerebbero.
Dal varo del decreto legge, il Parlamento ha 60 giorni di tempo per convertire il decreto in legge vera e propria. Bisogna quindi aspettare la seconda metà di luglio per vedere i risultati della discussione parlamentare.
Elisabetta Elia