Con una determinazione ardente e uno spirito incrollabile, Filippa Pantano si è affermata come una figura di spicco delle lotte operaie. Apparentemente innocua, questa donna era infatti destinata a innescare una rivoluzione.
Filippa nacque come contadina e ricamatrice nella sua piccola realtà: Santa Caterina di Villarmosa, in Sicilia. I suoi genitori, seppure provenienti da una realtà povera, non le avevano mai precluso lo studio, anzi le avevano assicurato un’istruzione fino alla sesta classe elementare (cosa per quei tempi non da poco). A un certo punto della sua vita però, Filippa Pantano si ritrovò a dover lasciare la sua amata Sicilia. Questo accadde nel 1966, quando raggiunse suo marito in Germania: paese in cui anche lei aveva trovato lavoro. Dopo ben cinque anni passati lontana dall’Italia, dedicatasi al duro lavoro, decise di tornare a casa. L’atto di tornare nella sua terra madre fu istantaneo quanto necessario: le servì infatti a vedere con lenti nuove quello che aveva suo malgrado sempre ignorato. Si riconobbe nelle ricamatrici, nella figura della donna sempre rinchiusa in casa, “l’angelo del focolare” che lei era stata e che ora non era più. Aveva infatti provato a tornare al suo vecchio lavoro, ma aveva anche conosciuto una realtà diversa: fatta di sacrifici, ma mai di sfruttamento. Sfruttamento che ora notava nella sua vecchia realtà, e che non le stava più bene. Voleva che tutte le ricamatrici vedessero con i loro stessi occhi l’ingiustizia alla quale erano sottoposte quotidianamente: pagate pochi spiccioli per un lavoro che richiedeva forza fisica e mentale non indifferente, e poi trattate come un nulla.
Negli anni Settanta, forse anche sulla spinta dei venti del sessantotto, Filippa Pantano fondò insieme alle figlie Orsola e Pina la lega delle ricamatrici: aderente alla CGIL, all’UDI e al PCI. Le aderenti a questa lega si trovarono a essere un gruppo compatto di scioperanti irrefrenabili. Nel ’73 a Palermo si tenne una manifestazione cardine, alla quale parteciparono quasi mille lavoratrici. L’evento diede il via a un risveglio collettivo, e si iniziò finalmente a parlare di equa retribuzione e di condanne a committenti e intermediari, da sempre sfruttatori di questo tipo di lavoro.
Come succede per tutto, però, anche la lega delle ricamatrici attraversò un momento difficile che culminò con la sua fine. Ma Filippa, le sue due figlie ormai grandi, e le sue amiche e compagne di lotta non rinunciarono al loro obiettivo. Nel ”77 venne così costituita una nuova cooperativa, “La rosa rossa”, che attraverso i media ottenne una buona visibilità. Dopo alcuni anni, tuttavia, anche questa cooperativa si sciolse. Il mercato dei ricami iniziò infatti a modernizzarsi, ad accelerare il suo sviluppo liberandosi di vecchie tecniche e così anche delle vecchie generazioni, che vennero sorpassate dalle nuove, a favore dei ricami cinesi o già stampati. Le due cooperative furono delle supernove, i risultati che avevano ottenuto però erano destinati a permanere.
Con le loro istanze, infatti, le ricamatrici arrivarono alla Cassazione e ottennero nel 1973 l’approvazione in Parlamento della legge 877 per la tutela del lavoro a domicilio. È quindi un’eredità non da poco quella lasciata da Filippa Pantano e dalle sue compagne: donne simbolo del coraggio di non essersi piegate e di aver continuato a combattere contro le ingiustizie, passando il testimone a noi, donne di oggi, che a loro dobbiamo un pezzetto della nostra attuale libertà.
Anche grazie al racconto della scrittrice Ester Rizzo “Le ricamatrici” possiamo conoscere la meravigliosa storia di Filippa Pantano, che altrimenti sarebbe ingiustamente rimasta nell’ombra.
Giulia Costantini