scrittrici
Fonte: pixabay.com -jarmoluk

I programmi scolastici e universitari continuano a escludere le scrittrici. Davanti a un numero enorme di autori, anche minori, la voce femminile viene spesso oscurata: se la storia è degli uomini, anche la letteratura è degli uomini. Il contributo femminile nella storia e nella letteratura è innegabile, ma nelle antologie di letteratura per il triennio la rappresentanza femminile va dal 2,74 all’8,83 per cento.

Nella storia della letteratura italiane le autrici sono state sempre oscurate e in ogni epoca è mancata la loro testimonianza viva. E anche se ultimamente si sta lavorando per la riscoperta delle autrici del ‘900 – come Alba de Céspedes, Anna Maria Ortese, Goliardia Sapienza, per citare qualche nome – per i secoli precedenti e anche per le scrittrici contemporanee, c’è ancora molto da fare, ancora troppo poco su cui lavorare. Le antologie dei trienni, per esempio, difficilmente “concedono” più di una pagina alle autrici. Sia alle scuole medie che alle superiori viene nominato un numero estremamente esiguo di scrittrici. Eppure, il Novecento italiano è pieno di autrici straordinarie, che hanno fatto la storia della letteratura. Si tratta di donne che ci hanno dato altri e nuovi strumenti per poter scavare all’interno di noi stessi, con una scrittura che non era più vista come tipicamente femminile – con tutto il discorso di sessismo intrinseco che viene fuori, perché le donne non hanno fatto altro che parlare d’amore, secondo alcuni – ma una nuova visione della realtà, una nuova sensibilità rispetto alle questioni del mondo. L’unica che forse viene costantemente citata è Elsa Morante: La Storia (edito Einaudi) e L’Isola di Arturo (sempre edito Einaudi) diventano romanzi di formazione e di consolazione, romanzi dalla forma ottocentesca e dal contenuto novecentesco, romanzi che raccontano la guerra, la violenza, la crescita, la solitudine, attraverso uno sguardo che non è più, non è solo più, quello maschile.

Tuttavia, assieme a Elsa Morante si dovrebbe parlare delle altre scrittrici del Novecento: Matilde Serao, Natalia Ginzburg, la poetessa Alda Merini, la poeta Patrizia Cavalli, come anche Antonia Pozzi, poetessa bravissima e giovanissima, intensa e triste come Sylvia Plath (e morte entrambe suicide).

Il Novecento è infatti il secolo che meglio fa capire qual è il problema dell’esclusione femminile dalla letteratura riconosciuta. La letteratura italiana dovrebbe dedicare antologie a Grazia Deledda, prima donna a vincere il premio Nobel nel 1926, scelta dall’Accademia di Svezia: «Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». Nonostante ciò, a scuola difficilmente si leggerà Canne al vento (edito Mondadori) e il suo nome sarà solo un’apparizione marginale nei libri di testo.

Inoltre, una delle polemiche che infiammano la letteratura contemporanea riguarda la vera identità di Elena Ferrante. Chi l’ha letta riconosce una scrittura che non è maschile, ma il nome più quotato sembra quello di Domenico Starnone. Perché un successo letterario di quelle dimensioni deve appartenere a uno pseudonimo che cela dietro di sé un uomo? Certo, i romanzi di Elena Ferrante sarebbero stati scritti a quattro mani da Starnone e Anita Raja, ma anche qui sarebbe opportuno porre una riflessione: dietro L’amica geniale (edizioni e/o) si cela davvero la penna di un uomo? Anche se il linguaggio di Starnone sembrerebbe lontano da quello di Ferrante? A tal proposito, Lino Zaccaria ha pubblicato un libro-inchiesta per rispondere alla domanda su chi sia Elena Ferrante: Elena Ferrante, chi è costei?, edito da Graus Edizioni.

Non solo le scrittrici italiane, questo è un problema che riguarda anche le autrici straniere. Scrittrici come Jane Austen, Charlotte Brontë e Mary Shelley vengono raramente citate nei libri di testo. Virginia Woolf, una delle penne più intense della letteratura, che ha scritto più stream of consciousness forse di chiunque altro. Eppure si parla sempre e solo di Joyce e del suo Ulisse. Ed è la stessa Virginia Woolf a darci uno dei giudizi più feroci su Ulisse, quando lo definisce «un grande, orribile libro», citazione riportata da Garzanti nella scheda di presentazione de La signora Dallowai, edito in Italia per la prima volta da Mondadori: uno dei suoi romanzi più famosi è ispirato all’esempio dell’Ulisse di Joyce, che lei critica. E ancora, è sempre di Woolf la riflessione sulle voci femminili in letteratura, che non riescono a farsi spazio in un mondo a loro interdetto e proibito. Proprio per questo sente l’urgenza di aprire uno spiraglio per le donne nell’ambito culturale.

Probabilmente l’unica autrice storica di cui si parla nelle antologie è la poetessa greca Saffo, che è stata presa a modello anche dagli scrittori romantici. Eppure, anche a Saffo, poetessa alla base della letteratura classica, non sembra essere riconosciuta la stessa importanza che è stata data agli autori maschili: si pensi, per esempio, a Omero, autore cardine della storia della letteratura, che viene studiato nelle antologie e citato come poeta sacro.

In definitiva, il mestiere dello scrivere non pare appartenere alle donne. Si continuano a prediligere autori maschili rispetto alle autrici femminili, nonostante il pari ruolo che hanno avuto e che hanno ricoperto. Anche quando la donna ha rivendicato il suo ruolo e il suo diritto ad appartenere al mondo della scrittura, il suo valore e il suo talento non sono stati riconosciuti. I programmi scolastici italiani continuano a non dare il giusto rilievo a tutta la colonna di autrici che hanno contribuito alla letteratura, escludendo di fatto tutto il punto di vista femminile sui più svariati argomenti. Le donne non parlano solo d’amore – senza alcuna accusa di snobismo – ma hanno parlato e parlano della vita in tutte le sue sfaccettature: rapporti umani, violenza, guerra, abusi, storie di famiglia, formazione, visioni del mondo, guardati da quella parte di popolazione che ha meno voce rispetto a quella maschile. Abbiamo il diritto, non solo il dovere, di conoscere anche la loro visione degli accadimenti, il dovere di riconoscerne il talento, di appassionarci alla cattiveria dei loro racconti, di leggere le descrizioni che fanno del mondo circostante, di entrare nelle analisi dei sentimenti. Non bastano più le eccezioni. Le autrici non devono più essere soltanto un elenco di sconosciute di cui si parla nei salotti letterari, ma devono diventare a tutti gli effetti un ulteriore apporto alla nostra cultura. Ed è dalla scuola che deve partire questo grande cambiamento.

Valentina Cimino

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